Senza “vantaggio personale” niente sanzioni amministrative per violazioni tributarie al commercialista della società o dell’ente con personalità giuridica
di Angelo GinexResponsabilità amministrativa per violazioni tributarie
Nel caso di una o più violazioni tributarie, generalmente l’Amministrazione finanziaria irroga le relative sanzioni amministrative nei confronti sia della società o dell’ente dotato di personalità giuridica, sia della persona fisica, indipendentemente dalla sussistenza o meno di un rapporto organico delle medesima con la prima (quindi, anche nei confronti del consulente esterno).
Il sistema di riferimento delineato dal D.Lgs. 472/1997 prevede che l’irrogazione delle sanzioni amministrative per violazioni tributarie avvenga sulla base della condizione soggettiva del trasgressore. È sancito infatti il principio di personalizzazione della sanzione, secondo cui è punibile direttamente la persona fisica che abbia commesso o concorso a commettere la violazione. E ciò anche nel caso di società o ente dotato di personalità giuridica, la cui responsabilità solidale si affianca a quella della persona fisica autrice della violazione che abbia agito nell’interesse della prima.
Questo impianto normativo è stato rafforzato dalle previsioni introdotte in occasione della riforma del sistema sanzionatorio penale-tributario (e nello specifico con l’articolo 19, D.Lgs. 74/2000), il quale ancora oggi sancisce, da un lato, il principio di specialità della sanzione penale rispetto a quella amministrativa quando le relative norme abbiano a oggetto uno stesso fatto e, dall’altro, la permanenza, in ogni caso, della responsabilità per la sanzione amministrativa dei soggetti indicati nell’articolo 11, comma 1, D.Lgs. 472/1997 che non siano persone fisiche concorrenti nel reato, e quindi dei soggetti dotati di personalità giuridica.
Successivamente, però, tale assetto è stato innovato mediante l’introduzione dell’articolo 7, D.L. 269/2003[1] il quale ha sancito il principio della riferibilità esclusiva alla persona giuridica delle sanzioni amministrative per violazioni tributarie, secondo cui le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti dotati di personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica.
Con l’introduzione del citato articolo 7, D.L. 269/2003, quindi, si è posta la vexata quaestio se la suddetta disciplina, nell’innovare le regole dettate dal D.Lgs. 472/1997, e in particolare dall’articolo 11, il quale prima della novella stabiliva l’obbligo solidale del pagamento della sanzione tra l’ente, la società o l’associazione, nel cui interesse l’autore della violazione aveva agito, e l’autore medesimo, avesse definitivamente escluso l’esigibilità della sanzione dalla persona fisica, identificando nella compagine sociale l’unico soggetto passivo, quando dotato di personalità giuridica.
Sul tema è più volte intervenuta la Corte di Cassazione, la quale sembra aver risolto la questione in maniera pressoché univoca, così come da ultimo ribadito nella più recente ordinanza n. 26057/2023, che sarà oggetto di analisi nel presente contributo ma solo dopo aver passato in rassegna la giurisprudenza di legittimità formatasi in materia.
Precedenti giurisprudenziali sulla deroga al principio della responsabilità personale dell’autore della violazione tributaria
La soluzione della prospettata vexata quaestio non è risultata affatto scontata alla giurisprudenza di legittimità poiché, al di là del chiaro tenore letterale delle sopra richiamate disposizioni normative, il comma 3 dell’articolo 7, D.L. 269/2003 stabilisce che: “nei casi di cui al presente articolo le disposizioni del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, si applicano in quanto compatibili”.
Con una delle prime pronunce rinvenute sul tema[2], la Corte di Cassazione ha affermato che la riforma operata dal D.L. 269/2003 ha posto in via esclusiva a carico di società o di enti con personalità giuridica, le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale, prevedendo espressamente all’articolo 7, comma 3, D.L. 269/2003 che alle situazioni previste dalla norma non sono più applicabili le regole specifiche per le sanzioni tributarie previste dal D.Lgs. 472/1997, e in particolare non è più applicabile la responsabilità solidale a carico dell’amministratore (anche di fatto) di cui all’articolo 11, D.Lgs. 472/1997. In tale contesto, poi, si è ulteriormente precisato che il principio secondo cui le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica anche quando sia gestita da un amministratore di fatto, non opera nell’ipotesi di società artificiosamente costituita poiché in tal caso la persona giuridica è una mera fictio creata nell’interesse della persona fisica, esclusiva beneficiaria delle violazioni, sicché non vi è alcuna differenza fra trasgressore e contribuente[3].
Successivamente la Corte di Cassazione ha compiuto un ulteriore passo in avanti affermando che in tema di violazioni tributarie, ai sensi dell’articolo 7, D.L. 269/2003, le sanzioni amministrative gravano esclusivamente sulla persona giuridica titolare del rapporto tributario, con esclusione della responsabilità a titolo di concorso delle persone fisiche, indipendentemente dalla sussistenza di un rapporto organico delle medesime con l’ente, mentre sono sanzionabili, ai sensi dell’articolo 9, D.Lgs. 472/1997, anche i concorrenti esterni rispetto alla violazione tributaria commessa da soggetti privi di personalità giuridica[4]. Tuttavia, al riguardo, si è altresì precisato che[5]:
“In tema di violazioni tributarie, la deroga al principio della responsabilità personale dell’autore della violazione di cui all’articolo 2, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, prevista in caso di riferibilità della sanzione alla persona giuridica ex articolo 7, comma 1, del d.l. n. 269 del 2003 (convertito con modificazioni dalla l.n. 326 del 2003), si applica soltanto quando la persona fisica che ha realizzato la violazione abbia agito nell’interesse ed a vantaggio della persona giuridica, effettiva beneficiaria della condotta, ma non anche quando abbia operato nel proprio esclusivo interesse, poiché, in tal caso, viene meno la “ratio” che giustifica l’applicazione della disposizione di cui all’articolo 7”.
Sulla scorta di quest’ultima pronuncia, facendo specifico riferimento al possibile concorso del consulente esterno, si ritiene di poter già sostenere che questi non risponde per le violazioni tributarie della società o dell’ente avente personalità giuridica e per le sanzioni che ne derivano, salvo che l’Amministrazione finanziaria dimostri che la condotta del professionista fosse finalizzata a ottenere “vantaggi personali”.
A conferma di quanto evidenziato, si rinviene la più recente ordinanza n. 26057/2023, nella quale la Corte di Cassazione si è occupata di una fattispecie in cui le sanzioni irrogate al consulente esterno (id est, il commercialista della società oggetto, prima, di verifica fiscale e, poi, di accertamento) traevano origine dalla contabilizzazione di fatture relative a operazioni inesistenti.
In particolare, il suddetto professionista era considerato l’ideatore della frode fiscale, avendo svolto un ruolo di primo piano nella realizzazione del progetto fraudolento, finalizzato a ridurre l’imponibile della società dallo stesso assistita.
Nel caso di specie la Suprema Corte, dopo aver richiamato i suindicati pronunciamenti, ha ribadito che:
“In materia di violazioni tributarie, la deroga al principio della responsabilità personale dell’autore della violazione di cui all’articolo 2, comma 2, del D.Lgs. 472 del 1997, prevista in caso di riferibilità della sanzione alla persona giuridica ex articolo 7, comma 1, del D.L. 269 del 2003, si applica soltanto quando la persona fisica che ha realizzato la violazione abbia agito nell’interesse e a vantaggio della persona giuridica, effettiva beneficiaria della condotta, ma non anche quando abbia operato nel proprio esclusivo interesse, poiché, in tal caso, viene meno la ratio che giustifica l’applicazione della disposizione di cui all’articolo 7.
Sulla scorta di ciò, quindi, la Cassazione è giunta alla conclusione che tale principio involge con evidenza qualunque concorrente, compreso il commercialista di una società dotata di personalità giuridica, oltre che i soggetti che nella società possano aver esercitato un ruolo, formale o di fatto, come gli amministratori.
Tuttavia, constatato che il giudice di appello non ha tenuto conto di tale principio, mancando qualsiasi argomentazione diretta a evidenziare l’interesse proprio, il “vantaggio personale” che con la condotta censurata il commercialista avrebbe perseguito, la Suprema Corte ha concluso che non sussistessero i presupposti per indirizzare anche a quest’ultimo le sanzioni amministrative.
In definitiva, deve ritenersi illegittima l’irrogazione delle sanzioni amministrative al consulente esterno di una Srl con la sola prova del ruolo di primo piano da questi svolto, in concorso con i soci, nel progetto fraudolento; piuttosto, all’Amministrazione finanziaria spetta la prova dell’interesse proprio, ovvero del “vantaggio personale”, del consulente esterno nell’operazione fraudolenta.
Riferibilità esclusiva alla persona giuridica delle sanzioni amministrative per violazioni tributarie
Come si è avuto modo di osservare, la giurisprudenza di legittimità formatasi in tema di responsabilità amministrativa per violazioni tributarie della persona giuridica, è univoca nel ritenere che, ai sensi dell’articolo 7, D.L. 269/2003, le sanzioni amministrative sono riferibili, e quindi applicabili, esclusivamente alla società o all’ente dotato di personalità giuridica.
Nello specifico, la Corte di Cassazione esclude il concorso sanzionabile del terzo (id est, del consulente esterno) nella violazione tributaria della persona giuridica ritenendo che la rubrica della norma, da un lato, e il tenore letterale della disposizione, dall’altro, siano manifestazioni inequivocabili della volontà legislativa di porre le sanzioni amministrative esclusivamente a carico della persona giuridica titolare del rapporto fiscale, senza che assuma rilevanza alcuna la qualità in cui abbia agito la persona fisica autrice della violazione tributaria.
Inoltre, sempre secondo l’orientamento giurisprudenziale sopra riportato, la clausola di compatibilità di cui all’articolo 7, comma 3, D.L. 269/2003, determina l’inapplicabilità dell’articolo 9, D.Lgs. 472/1997 sul concorso di soggetti terzi nella medesima violazione tributaria, indipendentemente dalla sussistenza o meno di una relazione organica con la stessa persona giuridica.
Tuttavia, la deroga al principio della responsabilità personale dell’autore della violazione tributaria di cui al citato articolo 7, D.L. 269/2003, trova applicazione esclusivamente nella ipotesi in cui la persona fisica che ha realizzato la violazione, abbia agito nell’interesse e a vantaggio della persona giuridica, e non anche quando abbia operato nel proprio esclusivo interesse.
Quindi è questa la chiave di volta dell’intero sistema di responsabilità amministrativa per violazioni tributarie del commercialista di società o ente dotato di personalità giuridica.
Ogni qualvolta non vi sia prova (da parte dell’Amministrazione finanziaria) che il commercialista abbia perseguito un interesse proprio, ovvero un “vantaggio personale”, con la condotta tenuta (anche se idonea a configurare una fattispecie penalmente rilevante), sarà illegittima l’irrogazione a suo carico delle relative sanzioni amministrative.
Conseguentemente le sanzioni amministrative per violazioni tributarie saranno riferibili esclusivamente alla persona giuridica.
Osservazioni conclusive
L’approdo ermeneutico cui è giunta la Corte di Cassazione, seppur condivisibile da talune angolazioni, non sembra tenere conto dei profili di incostituzionalità evidenziati dalla dottrina.
In prima battuta si osserva che la deroga al principio della responsabilità personale dell’autore della violazione tributaria, non appare per nulla coerente con la funzione deterrente, intimidatoria e afflittiva che il Legislatore del 1997, almeno in via di enunciazione, ha voluto fortemente attribuire al sistema sanzionatorio amministrativo.
Sotto altro profilo, poi, l’esenzione dalla responsabilità amministrativa per la persona fisica autrice della violazione tributaria, se apprezzabile tutte le volte in cui il suo agire si sia concretato in un esclusivo interesse o vantaggio della persona giuridica, potrebbe finire per legittimare le condotte più artificiose, anche se poste in essere in assoluta libertà e con consapevolezza[6].
Ma il vero punctum dolens della ricostruzione operata dalla Suprema Corte concerne i dubbi di incostituzionalità per violazione dell’articolo 3, Costituzione che essa inevitabilmente pone.
La più attenta dottrina, infatti, ravvisa un’ingiustificata disparità di trattamento tra i dipendenti o gli amministratori di società o enti dotati di personalità giuridica e i dipendenti o i rappresentanti di imprenditori individuali o società di persone[7]. Altrimenti detto, la deroga al principio della responsabilità personale dell’autore della violazione tributaria, sancita dall’articolo 7, D.L. 269/2003, se, da un lato, potrebbe risultare condivisibile in relazione alla responsabilità degli amministratori, dall’altro, ove riferita ai dipendenti, sembrerebbe lesiva del principio di uguaglianza di cui all’articolo 3, Costituzione, non potendosi ravvisare in capo a questi ultimi una responsabilità diversa a seconda della natura del datore di lavoro[8].
In definitiva, l’operatività limitata della deroga al principio della responsabilità personale dell’autore della violazione tributaria esclusivamente al caso della persona giuridica, non appare del tutto legittima sotto il profilo costituzionale.
Si ritiene poi che alle sanzioni amministrative per violazioni tributarie alla persona giuridica trovino applicazione i principi generali del sistema sanzionatorio (ad esempio, quelli sanciti in tema di colpevolezza, cause di non punibilità e criteri di determinazione della sanzione di cui agli articoli 5, 6 e 7, D.Lgs. 472/1997). Altrimenti detto, pur nella riferibilità esclusiva alla persona giuridica delle sanzioni amministrative tributarie, con riferimento alla condotta materiale dell’autore della violazione, va verificata in capo a quest’ultimo la sussistenza di tutti quegli elementi, quali l’imputabilità, la colpevolezza e la contestuale assenza di errori scusabili, che sono alla base di qualsiasi attività di accertamento in ordine alla commissione di illeciti tributari[9].
Infatti, solo la lettura in negativo del rinvio operato dall’articolo 7, comma 3, D.L. 269/2003 rende l’interpretazione giurisprudenziale sopra disaminata coerente con la disciplina della responsabilità delle persone giuridiche per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato di cui al D.Lgs. 231/2001, al cui interno hanno poi trovato inserimento, tra i c.d. reati presupposto, anche i delitti previsti dal D.Lgs. 74/2000.
Da ultimo, il combinato disposto del citato articolo 7, D.L. 269/2003 con il D.Lgs. 231/2001 consente di coniugare alla perfezione la responsabilità amministrativa e penale della società o dell’ente con personalità giuridica, legittimando anche la condivisione di limitazioni di responsabilità della medesima.
[1] L’articolo 7, D.L. 269/2003 stabilisce che: “1. Le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica. 2. Le disposizioni del comma 1 si applicano alle violazioni non ancora contestate o per le quali la sanzione non sia stata irrogata alla data di entrata in vigore del presente decreto. 3. Nei casi di cui al presente articolo le disposizioni del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, si applicano in quanto compatibili”.
[2] Cfr. Cassazione n. 4775/2016.
[3] Cfr. Cassazione n. 10975/2019. Negli stessi termini si sono espresse molteplici pronunce concernenti l’ipotesi di società “cartiera”, in quanto anche tale società è una mera fictio, utilizzata quale schermo per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a personale vantaggio dell’amministratore di fatto, con la conseguenza che viene meno la ratio che giustifica l’applicazione del citato articolo 7, D.L. 269/2003, diretto a sanzionare la sola società con personalità giuridica, per cui deve essere ripristinata la regola generale secondo cui la sanzione amministrativa pecuniaria colpisce la persona fisica autrice dell’illecito (cfr. Cassazione n. 29038/2021, n. 36003/2021 e n. 23231/2022).
[4] Cfr. Cassazione n. 9448/2020, n. 9449/2020, n. 9450/2020 e n. 9451/2020; in senso conforme, cfr. Cassazione n. 14364/2022.
[5] Cfr. Cassazione n. 25757/2020.
[6] Sul punto, cfr. F. Gallo, “L’impresa e la responsabilità per le sanzioni amministrative tributarie”, in Rassegna tributaria, 2005, pag. 11. L’Autore, de iure condendo, ha proposto di coniugare i principi di personalità e di colpevolezza con l’obiettivo di colpire l’effettivo beneficiario economico dell’illecito, “corresponsabilizzando, a titolo proprio, l’autore materiale in quei casi in cui il suo comportamento si presenta particolarmente commendevole sotto il profilo dell’antigiuridicità” e assumendo “direttamente come obbligato al pagamento della sanzione il soggetto contribuente che ha tratto l’effettivo beneficio dalla violazione”. Cfr. L.R. Corrado, “Responsabilità della persona giuridica per le violazioni tributarie: riflessi amministrativi e penali”, in Rivista di giurisprudenza tributaria n. 3/2023, pag. 244, secondo la quale “se gli autori della violazione fossero sempre esenti dalle sanzioni, essi potrebbero liberamente e consapevolmente escogitare le più artificiose ingegnerie economico-finanziarie, senza subire alcuna conseguenza negativa”.
[7] Cfr. F. Batistoni Ferrara, “Dubbi d’incostituzionalità sull’applicabilità delle sanzioni all’ente o al legale rappresentante”, in Rivista di giurisprudenza tributaria, 2007, pag. 75, secondo cui “L’esistenza o non di personalità giuridica nelle due categorie di soggetti non si riverbera sull’imputabilità della violazione. Se si guarda alla realtà dei fatti, nessuna ragionevole differenza è possibile ravvisare nelle condizioni in cui versa, per esempio, il socio amministratore di una collettiva e l’amministratore di una società a responsabilità limitata. La creazione di un doppio regime, l’uno ispirato alla responsabilità personale, di stampo parapenalistico, concepita in funzione dell’irrogazione di una sanzione di carattere punitivo e l’altro ad un criterio di riferibilità oggettiva della violazione alla società o all’ente sembrano perciò concretizzare una disarmonia rilevante del sistema e comunque un’ingiustificata disparità di trattamento di situazioni eguali”.
[8] Cfr. L.R. Corrado, op. cit., pag. 244; Nello stesso senso, M. Basilavecchia, “Passi indietro nelle sanzioni amministrative”, in Corriere Tributaria, 2003, pag. 3783, il quale parla di un “arretramento inopportuno del sistema sanzionatorio”.
[9] Cfr. nota n. 1949 del 13 luglio 2005.
Si segnala che l’articolo è tratto da “Accertamento e contenzioso”.