Sequestro dei beni non sussistente in presenza di solidità nel bilancio
di Chiara RizzatoSandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi TributariTra il novero delle misure cautelari, utilizzate a fini di difesa del credito erariale, si rende opportuno senza dubbio citare il sequestro conservativo. Quest’ultimo trova riscontro normativo all’interno del comma 1 dell’articolo 22 del D.Lgs. 472/1997, il quale stabilisce che, “in base all’atto di contestazione, al provvedimento di irrogazione della sanzione o al processo verbale di constatazione e dopo la loro notifica, l’ufficio o l’ente, quando ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito, può chiedere, con istanza motivata, al presidente della commissione tributaria provinciale l’iscrizione di ipoteca sui beni del trasgressore e dei soggetti obbligati in solido, e l’autorizzazione a procedere, a mezzo di ufficiale giudiziario, al sequestro conservativo dei loro beni, compresa l’azienda. A tal fine l’Agenzia delle entrate si avvale anche del potere di cui agli articoli 32, primo comma, numero 7), del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, e 51, secondo comma, numero 7), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni”. Si noti che la circolare 4/E/2010 rammenta che, qualora sia possibile adottare entrambe le misure cautelari, è opportuno privilegiare il sequestro conservativo rispetto all’accensione dell’ipoteca. Tale considerazione risulta scaturire da valutazioni effettuate in ordine alla minor onerosità esistente dal punto di vista procedimentale dell’iter del sequestro conservativo rispetto a quello dell’ipoteca.
Sull’utilizzo del sequestro conservativo risulta necessario sottolineare:
- il suo scopo, ovverosia quello di evitare che i beni del trasgressore vengano dispersi, facendo venire meno la garanzia che gli stessi costituiscono per il creditore;
- la sua funzione preventiva, consistente nel rendere inopponibili al creditore gli atti di disposizione del patrimonio compiuti dal debitore;
- la tipologia dei beni sequestrabili, che ai sensi dell’articolo 671 del Codice di procedura civile, risulta essere composta da beni mobili (compresi crediti, depositi bancari, quote sociali, azioni, obbligazioni, titoli, eccetera), beni mobili registrati, beni immobili, somme o cose dovute al debitore (nei limiti ammessi per il pignoramento) e, per espressa previsione normativa, anche dall’azienda.
Presupposto di fondamentale importanza e per questo degno di attenta analisi nel presente intervento è il concetto del c.d. “periculum in mora”, il quale letteralmente può essere senz’altro collegato alla frase contenuta nell’articolo 22 comma 1 ovverosia “quando ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito”. Il significato dello stesso, come da documento di prassi sopra citato, si configura in una pluralità di elementi, anche di carattere indiziario, ma convergenti nell’indurre a ritenere reale, da parte degli Uffici, il rischio di comportamenti del contribuente mediante i quali i beni disponibili vengano sottratti ad eventuali azioni esecutive da parte dell’agente della riscossione in caso d’inadempimento. Per stabilire se vi sia periculum in mora dovranno essere effettuate attente analisi sulla situazione del debitore-contribuente, considerando che l’adozione delle misure cautelari ivi citate deve possedere requisiti di prudenza, sia in ragione degli effetti che queste misure hanno sulla tutela dell’interesse erariale, prima ancora che sia divenuto certo, liquido ed esigibile, sia per le implicazioni che le stesse determinano sul patrimonio dei contribuenti.
Il pericolo per la riscossione, attuale e non solo potenziale, può essere riscontrato:
- sia su dati oggettivi come la consistenza quantitativa e le caratteristiche qualitative del patrimonio;
- sia su dati soggettivi quale la condotta del debitore.
Proprio in merito al primo punto, si rileva che tra le situazioni “pericolose” vi è la presenza di una consistenza del patrimonio, risultante dagli ultimi bilanci, non capiente rispetto alla pretesa erariale. La circolare 66/E/2001 detta i parametri con i quali si concretizza il periculum in mora, ovverosia, per i soggetti tassabili in base al bilancio, da alcuni indici quali solvibilità e indebitamento. Si noti che la circolare 4/E/2010 fa riferimento, qualora i nuclei di verifica volessero ampliare l’analisi patrimoniale del contribuente, all’utilizzo del calcolo di ulteriori indicatori più specifici, la cui valutazione congiunta può contribuire a meglio cogliere la solidità patrimoniale e l’affidabilità economico-finanziaria del soggetto sottoposto a controllo.
Sul punto è opportuno collegarsi alla sentenza della C.T.P. della Liguria, n. 28 del 2010, nella quale si dispone che il requisito del periculum in mora non possa ritenersi sussistente nel caso in cui l’opponente sia una società il cui bilancio risulti molto solido e ben corredato in tutte le sue componenti, sia dal lato economico, sia dal lato patrimoniale ed i cui indicatori risultino particolarmente positivi.