Servizi infragruppo, inerenza e onere della prova
di Fabio LanduzziLa sentenza della Corte di Cassazione n. 25999 depositata il 10.12.2014 ha riconosciuto la legittima detraibilità dell’Iva assolta da una società sulle fatture emesse da altra impresa appartenente allo stesso gruppo in relazione alla prestazione di servizi amministrativi di vario tipo (contabilità generale, controllo di gestione, certificazione di qualità, controllo degli acquisti, ecc.). Con questa sentenza, la Suprema Corte ritorna quindi nuovamente sulla questione dibattuta riferita alla prova della inerenza delle spese sostenute per servizi ricevuti da altre società del gruppo in forza di accordi di ripartizione di costi centralizzati a fronte della disponibilità contrattuale di molteplici servizi di varia natura.
La contestazione era sorta a seguito di una verifica dell’Agenzia delle entrate la quale, rispetto all’applicazione di un tipico accordo infragruppo di cost sharing fra imprese italiane, riteneva che il criterio di ripartizione dei costi fra le società del gruppo applicato nel caso di specie, basato sulle ore di lavoro dedicate dai lavori dipendenti della società che prestava i servizi, non fosse corretto in quanto privo dei requisiti di certezza ed oggettività; l’Amministrazione riteneva infatti che il criterio corretto avrebbe dovuto consistere nel volume d’affari delle varie società oppure nel numero delle fatture emesse. Di conseguenza, eccependo il difetto dei suddetti requisiti contestava, dapprima, la congruità dei corrispettivi, ed inoltre, ritenendo assente una documentazione tale da consentire la riconducibilità dei costi addebitati alle prestazioni ricevute, contestava l’inerenza delle spese, conclusivamente negando la detrazione dell’intera Iva assolta dalla società committente sulle fatture in oggetto.
La Suprema Corte, a partire dal fatto che nel caso di specie non era mai messa in dubbio la reale esistenza del rapporto economico in essere fra le due società, compie un articolato e puntuale ragionamento sul tema della ripartizione dell’onere della prova. Osserva dapprima che quando l’Amministrazione intende contestare la corrispondenza fra la situazione evidenziata nei documenti contabili, nei registri e nelle dichiarazioni fiscali del contribuente, e la realtà fattuale, essa ha l’onere di fornire la prova dei fatti costitutivi della propria pretesa. In questo senso, richiamando propri precedenti arresti, la Cassazione rammenta che l’Amministrazione non può limitarsi ad una generale non accettazione della documentazione del contribuente, dovendo invece fondare la propria contestazione su elementi anche indiziari (Cass. 21953/07). Solo una volta che gli elementi forniti dall’Amministrazione fossero ritenuti dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, allora il contribuente sarà chiamato a fornire prova contraria.
I principi sopra richiamati sono applicabili, secondo la Cassazione, non soltanto quando si discute dell’esistenza della prestazione, bensì anche quando si tratta di congruità dei corrispettivi e di inerenza delle spese.
In merito alla congruità, tocca all’Amministrazione fornire prova della manifesta illogicità od anomalia della condotta del soggetto economico, mentre è affermato che la mera appartenenza al medesimo gruppo non può far ritenere l’operazione viziata di per se stessa se non ne è provata la antieconomicità.
Analogo ragionamento in relazione al tema della inerenza della spesa: anche con riguardo a questo aspetto, la prova dell’Amministrazione deve fondarsi su argomentazioni logicamente fondate ed elementi obiettivi.
Sulla base di questi principi, la Cassazione ha quindi ritenuto che le motivazioni addotte dall’Amministrazione per contestare il criterio applicato nella ripartizione dei costi infragruppo fossero del tutto carenti; infatti, la preferenza per uno o per un altro criterio, non è di per sé stessa una ragione sufficiente a poter affermare che il metodo applicato dal contribuente sia inadeguato e non idoneo a commisurare la corretta allocazione dei costi sulle società che fruiscono dei servizi.
L’affermazione secondo cui le schede di lavoro dei dipendenti non darebbero prova certa e oggettiva della ripartizione dei costi e della effettività dei servizi resi, non è quindi a giudizio della Cassazione motivata e dimostrata su adeguate basi logiche, tali da poter consentire che esista una reale dicotomia fra la realtà fattuale e la rappresentazione contabile espressa nelle fatture.