Si convoca in assemblea il socio recedente?
di Comitato di redazioneCi stiamo occupando in queste giornate del Master Breve della tematica del conflitto tra soci, individuando i possibili rimedi esperibili.
Tra questi, si propone anche quello del recesso, come strumento che rimuove in radice il contrasto per il semplice allontanamento “fisico” di una delle parti in causa.
Discutendo di questi argomenti, come era naturale, è emersa la questione della efficacia giuridica del recesso.
Proviamo a svolgere un ragionamento su tale aspetto, ipotizzando che si debba risolvere una problematica che si può tranquillamente presentare:
- il socio Rossi ha deciso di recedere dalla società Alfa, sulla scorta di una motivazione giuridicamente valida;
- in una certa data invia comunicazione di recesso;
- successivamente a tale data si deve convocare una assemblea.
Nel più ampio tema della data di efficacia del recesso, ci si chiede se, ad esempio, il socio debba essere convocato per l’assemblea ed, eventualmente, se possa validamente esercitare il diritto di voto in quella sede.
Al riguardo, vale subito la pena di rammentare che, sull’argomento, si rinvengono in dottrina due fondamentali impostazioni, cui conseguono ulteriori “sfumature”:
- il receduto perde immediatamente la qualità di socio e, per conseguenza, anche la legittimazione all’esercizio dei diritti sociali;
- il receduto perde la qualità di socio successivamente alla comunicazione e, ulteriormente dividendosi:
- il socio resta titolare di tutti i diritti e soggetto a tutti gli obblighi derivanti dal rapporto sociale fino alla effettiva liquidazione della partecipazione;
- il socio rimane soggetto a diritti e obblighi solo fino allo spirare del termine di 90 giorni, termine concesso per la revoca della deliberazione che ha dato luogo al recesso;
- i diritti di natura patrimoniale rimangono sospesi, mentre quelli di natura amministrativa restano pienamente esercitabili fino al termine del procedimento di liquidazione (o, secondo alcuni, fino alla scadenza del termine per la revoca della deliberazione).
La giurisprudenza non è meno contrapposta, posto che:
- Corte d’Appello di Milano (21 aprile 2007): i diritti si mantengono in capo al socio recedente, poiché il soggetto non ha ancora la certezza di potere realizzare questo intento, che potrebbe essere vanificato dagli altri soci; si dovrà tuttavia tener conto della sua posizione ai fini della disciplina in termine di conflitto di interesse;
- Tribunale di Pavia (5 agosto 2008): il recesso non impedisce al socio l’esercizio dei diritti connessi alla sua persistente qualità;
- Tribunale di Napoli (14 gennaio 2011, cit.): la perdita della legittimazione all’esercizio dei diritti deriva dalla perdita immediata della qualità di socio. Analogamente, ove si volesse sostenere la tesi del mantenimento della qualità di socio, l’obbligo di deposito delle azioni presso la sede sociale (previsto per le SpA), dà conto della necessità di congelare i diritti del medesimo.
- Tribunale di Tivoli (14 giugno 2010): le cautele del divieto di vendita e del deposito presso la sede sociale non sono l’espressione della decadenza del recedente dai diritti di socio, ma sono l’espressione che tali diritti sono tuttora vigenti: la cautela ha un senso solo perché il socio è ancora pienamente in possesso dei diritti connessi alla partecipazione sociale, altrimenti non avrebbe senso, perché se il socio non fosse più effettivamente titolare dei diritti l’eventuale vendita sarebbe inefficace ex lege.
Non possiamo, certo, risolvere in questa sede problemi di così ampio respiro in questa sede.
Tuttavia, ci possiamo sbilanciare per considerare quale, tra le soluzioni proposte, possa essere foriera di minori conseguenze negative in capo alla società.
Ad esempio, potrebbe essere riscontrato che la posizione che fa coincidere la perdita dei diritti sociali con lo scadere del termine per la revoca della delibera, realizzi un buon compromesso di interessi e rischi.
Infatti, ove si aderisse alla tesi più radicale della perdita immediata della qualità di socio (piuttosto a quella intermedia che veda la perdita immediata dei soli diritti amministrativi), si finirebbe con rendere legittima la mancata convocazione del socio in assemblea. Tale circostanza, però, espone a gravi rischi ove, a seguito di impugnazione, il socio recedente riesca a dimostrare la non conformità del procedimento di convocazione del consesso.
Insomma, pur a fronte delle legittima esistenza di dubbi al riguardo, si potrebbe forse riscontrare che risulti più cautelativa la convocazione del socio receduto, casomai correlata con l’utilizzo della cautela del possibile stato di conflitto di interesse.
Ma il tema è certamente delicato e, come tale, necessiterebbe di una presa di posizione ufficiale della giurisprudenza di legittimità.