Come si disapplica il regime CFC paradisiaco?
di Marco BargagliCome noto, la Legge di Stabilità 2016, a decorrere dal 1° gennaio 2016, ha introdotto importanti modifiche alla disciplina CFC, con particolare riferimento al nuovo criterio di individuazione dei Paesi a fiscalità privilegiata.
Sullo specifico tema, l’Agenzia delle entrate, Direzione Centrale Normativa, con la circolare 35/E/2016 ha fornito utili chiarimenti, illustrando dettagliatamente le modifiche normative intervenute nel tempo.
In particolare l’articolo 167, comma 4, Tuir attualmente prevede che: “I regimi fiscali, anche speciali, di Stati o territori si considerano privilegiati laddove il livello nominale di tassazione risulti inferiore al 50 per cento di quello applicabile in Italia”.
Di conseguenza, per effetto delle modifiche introdotte dalla Legge di Stabilità 2016, a partire dal 1° gennaio 2016 si considerano privilegiati:
- i regimi in cui “il livello nominale di tassazione risulti inferiore al 50 per cento di quello applicabile in Italia”;
- i regimi “speciali”.
Di contro, in precedenza, si doveva fare esplicito riferimento ad una specifica black list emanata con il D.M. 21.11.2001, come modificato dal D.M. 30.03.2015 e dal D.M. 18.11.2015 e, conseguentemente, i regimi fiscali privilegiati rilevanti ai fini della CFC erano individuati sulla base dei seguenti criteri:
Esercizio di riferimento | Sino al 31.12.2014 | 01.01.2015 – 31.12.2015 | Dal 1 gennaio 2016 |
Criterio Individuazione del paradiso fiscale |
Inserimento nella Black list (D.M. 21.11.2001)
|
– Inserimento nella Black list (D.M. 21.11.2001)
– regime speciale (con livello di tassazione < al 50% rispetto a quello applicato in Italia)
– esclusione dei Paesi in ambito UE e spazio economico europeo |
– Cancellazione della Black list (D.M. 21.11.2001)
– livello di tassazione nominale < al 50% rispetto a quello applicabile in Italia
– esclusione Paesi ambito UE e spazio economico europeo |
Quindi, ai sensi dell’articolo 167, comma 5, lett. a) e b) Tuir, il regime CFC paradisiaco non si applica se il soggetto residente in Italia dimostra, alternativamente, che la società non residente svolge un’effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nel mercato dello Stato o territorio di insediamento, oppure che dalle partecipazioni non consegue l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori a fiscalità privilegiata.Con riferimento alle esimenti che consentono la disapplicazione della normativa CFC, la Legge di stabilità 2016 non ha apportato modifiche.
Con particolare riferimento alla seconda esimente (ex articolo 167, comma 5, lett. b), Tuir) la circolare AdE 35/E/2016 ha precisato che, in considerazione del basso livello di tassazione nominale ovvero del regime speciale di cui gode la CFC, si può ritenere che l’investimento sia stato dettato non da genuine ragioni economico-commerciali, ma da motivazioni di natura fiscale.
Tale presunzione può essere superata dimostrando che il carico fiscale è almeno pari al 50 per cento di quello che sarebbe stato scontato laddove la controllata fosse stata residente in Italia.
Sulla base dei chiarimenti intervenuti con il citato documento di prassi, che richiama anche la circolare AdE 51/E/2010, il livello di tassazione o carico fiscale complessivo (c.d. tax rate) è dato dal rapporto tra la somma delle imposte scontate dalla società controllata sui redditi prodotti – a prescindere dallo Stato di imposizione – e l’utile ante imposte della stessa.
Successivamente, dopo aver calcolato il tax rate effettivo estero, occorrerà poi operare un giudizio di congruità che, proprio come posto in evidenza dalla circolare 35/E/2016, sarà effettuato comparando il medesimo tax rate effettivo estero con il 50 per cento dell’aliquota nominale vigente in Italia oppure, nel caso di fallimento di questo test, si dovrà comparare il tax rate con il 50 per cento della tassazione virtuale domestica.
In definitiva, la dimostrazione dell’esimente presuppone che il tax rate effettivo estero (inteso come rapporto tra le imposte corrisposte all’estero e l’utile ante imposte risultante dal bilancio d’esercizio della società estera) venga confrontato con l’aliquota nominale italiana (aliquota Ires + aliquota ordinaria Irap). A questo punto, se il tax rate estero risulta superiore al 50 per cento dell’aliquota nominale italiana, l’esimente si considera già operante.
Di contro, nell’ipotesi in cui dal confronto effettuato risulti un’imposizione effettiva estera inferiore alla metà di quella italiana, la sussistenza dell’esimente potrà essere comunque provata attraverso il raffronto con l’imposizione che la controllata avrebbe effettivamente scontato qualora fosse stata residente in Italia (tax rate virtuale domestico).
In tale circostanza, l’esimente si considera dimostrata quando il tax rate effettivo estero risulta superiore al 50 per cento del tax rate virtuale domestico.