Si paga l’Inps sulle somme da recesso?
di Cristina FacchettiGiovanni Valcarenghi
Negli ultimi tempi, complice la crisi economica e le difficoltà in cui versano molte imprese, si intensificano sempre più i casi di recesso da società; intendiamo occuparci in modo particolare del caso dell’abbandono di una società personale, argomento che sarà meglio approfondito in un articolo di prossima pubblicazione sulla nostra Circolare Tributaria settimanale.
Concentriamo la nostra attenzione sulla posizione del socio e sulle modalità di tassazione delle somme eventualmente percepite in esubero rispetto al valore fiscalmente riconosciuto della partecipazione (senza che possa avere alcun risalto, in tale ipotesi, l’eventuale rivalutazione a pagamento, posta in essere entro lo scorso 30 giugno).
È ormai scontato che tale eccedenza debba essere tassata come reddito di partecipazione anzi, come appare più corretto affermare, come reddito di impresa, veicolato per il tramite del reddito di partecipazione. La natura di tale provento appare importante, in quanto ci servirà per argomentare in merito alla necessità di assoggettamento a contribuzione INPS.
Il TUIR, infine, concede la possibilità di assoggettare tale reddito a tassazione separata, nel solo caso in cui tra la costituzione della società ed il momento di comunicazione del recesso siano trascorsi più di 5 anni (articolo 17, comma 1, lettera l) del DPR 917/86).
A noi interessa ipotizzare proprio tale ultima casistica, quindi quella in cui un socio receduto da una società personale nel corso del 2013, percependo somme in eccedenza rispetto al valore fiscalmente riconosciuto della partecipazione, abbia la possibilità di accedere alla tassazione separata, oppure optare per la tassazione ordinaria; diamo anche per scontato che il socio fosse iscritto alla Gestione INPS dei commercianti o degli artigiani.
Ci domandiamo, al riguardo, se vi siano influenze sul calcolo dei contributi dovuti, oppure se, la tassazione separata, consenta una agevole via di fuga dal pagamento degli stessi.
Ci poniamo l’interrogativo in quanto l’INPS, nelle istruzioni operative che dirama di anno in anno (da ultimo vedi la circolare 74/2014), dopo avere rammentato che i contributi sono dovuti sul reddito di impresa prodotto dal contribuente, si limita a richiamare la quota di imponibile indicata nei quadri RF, RG e RH, dove normalmente (ma non sempre) sono collocati i redditi di impresa.
Quindi l’interrogativo è assolutamente attuale: se il socio recedente indica l’imponibile derivante dal recesso nel quadro RM (redditi a tassazione separata), ove sono collocati i redditi a tassazione separata, non paga i contributi su tali somme?
Questa sembrerebbe essere la conclusione cui si giunge dalla mera analisi delle istruzioni letterali e, a livello operativo, dagli automatismi proposti dalle principali case di software. Meglio così, verrebbe da dire, in quanto si potrà risparmiare qualche denaro. Ma, evidentemente, appare chiaro a tutti che il reddito posizionato nel quadro RM del modello Unico è pur sempre un reddito di impresa, anche se le modalità di applicazione dell’IRPEF sono particolari, vale a dire subordinate al particolare meccanismo di tassazione separata, per evitare l’aggravio della progressività dell’imposta su redditi la cui formazione è stratificata nel tempo.
Dunque, non possiamo che chiudere con un dubbio, senza essere riusciti a giungere ad una conclusione definitiva. Una cosa appare però certa: chi si adegua alle indicazioni dell’Ente preposto all’accertamento non dovrebbe subire sanzioni in caso di differente interpretazione postuma. Certo, l’ideale sarebbe poter stimare con precisione il carico complessivo fiscale e contributivo ma, poiché vale sempre il motto che a pagare e morire si è sempre a tempo, riteniamo che in pochi pagheranno (in anticipo) i contributi su tali somme.