Si può diminuire l’invenduto delle immobiliari copiando dai francesi?
di Giovanni ValcarenghiCon l’approvazione, con voto di fiducia del Senato dello scorso 5 novembre, del decreto sblocca Italia, prende forma definitiva il provvedimento teso ad incentivare l’acquisto di immobili da destinare alla locazione a canone calmierato.
Infatti, l’articolo 21 del decreto prevede una deduzione dal reddito del 20% a favore dei privati che acquistano, dal 1° gennaio 2014 al 31 dicembre 2017, un alloggio nuovo da un’impresa di costruzione o di ristrutturazione per destinarlo alla locazione a canone concordato per una durata minima di otto anni. La deduzione spetta anche nel caso in cui sia lo stesso contribuente a sostenere le spese per la costruzione dell’immobile su una propria area edificabile, ovvero nel caso di acquisto o realizzazione di ulteriori abitazioni da destinare alla locazione.
Per il riconoscimento della deduzione sono previste alcune condizioni, tra cui:
- l’unità immobiliare deve essere a destinazione residenziale;
- non deve essere accatastata tra le abitazioni di “lusso”;
- non deve trovarsi in una zona agricola;
- deve avere prestazioni energetiche certificate in classe A o B;
- il locatore e il locatario non devono essere parenti di primo grado;
- la locazione deve avvenire non a canone di mercato, bensì a tariffe ridotte (ed, al riguardo, appare necessario che si precisi quali siano i parametri effettivi di riferimento e gli eventuali vincoli di collocazione dei fabbricati nelle aree a maggiore tensione abitativa).
La disciplina riprende il contenuto della legge “Scellier” francese, che, dall’inizio del 2009, consente una deduzione del 25% dal reddito imponibile (misura poi variata prima al 13% e poi al 18%) sul valore di acquisto di immobili dati in locazione (tetto massimo di 300.000 euro, ripartita in quote di nove anni). Tuttavia, nella disciplina d’oltralpe non è previsto che il venditore debba essere necessariamente un’impresa di costruzione o di ristrutturazione o una cooperativa edilizia.
Diversamente, la norma “nostrana” assolve chiaramente alla finalità di agevolare lo smaltimento dell’invenduto giacente nei magazzini delle imprese edili, forse anche per cercare di fornire un sostegno ad un settore che sta patendo una evidente crisi. Infatti, nel testo definitivo, si riferisce l’agevolazione esplicitamente alle transazioni di unità “invendute alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto od oggetto di interventi di ristrutturazione edilizia o di restauro e di risanamento conservativo”.
Peraltro, l’input potrebbe fornire un effetto volano se si considera che, oggi, il sistema bancario ha ripreso a finanziare (sia pure in modo flebile) i privati che intendano acquistare un fabbricato, mentre sbarra sostanzialmente le porte alle imprese edili che richiedano prestiti per la realizzazione di investimenti.
Per capire quali sono le prospettive di applicazione della nuova misura, appare interessante esplorare i contenuti della Relazione Tecnica, che costruisce le stime di impatto sul gettito in questo modo:
- il settore manifesta una “potenzialità” di 33.500 trasferimenti, come risulta dalle transazioni del 2013 (negozi di trasferimento di piena proprietà, soggetti ad IVA, che non hanno fruito dell’agevolazione per abitazione principale, in cui l’acquirente sia una persona fisica e l’immobile non strumentale);
- si ipotizza che il 60% degli immobili in oggetto sia a destinazione residenziale e che il 20% corrisponda ai requisiti imposti dalla norma e venga locato alle condizioni previste dalla normativa in esame pervenendo ad un numero annuo di immobili interessati pari a 4.020 (33.500 x 60% x 20%);
- si presume un effetto incentivante tale da indurre l’acquisto e la locazione di ulteriori 200 immobili (5% di 4.020) in ragione d’anno: conseguentemente, si tratterebbe di 4.220 unità immobiliari.
Discutiamo, dunque, di un effetto benefico che, da un lato, renderà più vantaggiose le transazioni usuali e, per altro verso, potrebbe generare solo un surplus di 200 transazioni annue, cifra che appare risibile se si vuole discutere di un intervento che intenda agire in modo effettivo per il rilancio del settore.
La versione definitiva della norma, però, mette in gioco anche una ulteriore quota di deduzione, laddove evoca la deducibilità degli interessi passivi dipendenti da mutui contratti per l’acquisto delle unità immobiliari medesime.
Sembra, allora, che le stime originarie possano essere riviste al rialzo se, come pare dalla lettura della norma, gli interessi:
- non entrano nel computo del tetto massimo della agevolazione (quindi non erodono il tetto dei 300.000 euro);
- si traducono in una deduzione e non in una detrazione, con la conseguenza che, anche per il contribuente con aliquota del 23%, il risparmio sul costo del finanziamento si attesta su tale importo (potendo giungere anche al 43% per i soggetti con aliquote più elevate);
- non soggiacciono ad alcun tetto massimo di rilevanza, come invece avviene per la disciplina della detrazione degli interessi per il mutuo contratto per l’acquisto della prima casa.
Come di consueto, dunque, non siamo dinnanzi ad uno schema legislativo chiaro e ben comprensibile e, per conseguenza, sarà opportuno attendere i chiarimenti ufficiali. Tuttavia, va notato che l’insieme delle nuove disposizioni potrebbe essere in alcuni casi appetibile, specialmente per i contribuenti che dichiarano redditi elevati, per i quali il beneficio si può tradurre in un risparmio del 43% sulle quote deducibili dall’imponibile, ferma restando l’applicabilità delle disposizioni sulla cedolare per la tassazione dei canoni.
Staremo a vedere se gli invenduti delle immobiliari caleranno drasticamente, circostanza sulla quale è comunque legittimo nutrire più di un dubbio.