Si torna alla parziale deducibilità dei costi black list
di Marco BargagliLa normativa conosciuta tra gli addetti ai lavori come deducibilità dei costi black list è stata oggetto negli anni di numerose riforme tributarie.
Un primo intervento è recato dal D.Lgs. 147/2015, ossia il decreto crescita e internazionalizzazione delle imprese, con il quale il legislatore aveva modificato la preesistente disciplina applicabile ai costi black list, che risultavano deducibili dal reddito d’impresa integralmente, fino a concorrenza del loro valore normale.
Di contro, il costo eccedente il valore normale del bene o servizio acquistato, poteva essere dedotto a condizione che il contribuente dimostrasse l’effettivo interesse economico dell’operazione e, simmetricamente, la concreta effettuazione della stessa.
Successivamente, la Legge di stabilità 2016 aveva abrogato la disciplina dei costi black list che diventavano deducibili in base alle norme generali previste per i componenti del reddito d’impresa, ai sensi dell’articolo articolo 109 Tuir (sulla base dei noti principi di inerenza, certezza e obiettiva determinabilità della spesa).
L’articolo 1, commi 84–86 della Legge di bilancio 2023 (L. 197/2022) ha reintrodotto le disposizioni in materia di indeducibilità dei costi derivanti da operazioni intercorse con imprese localizzate in Paesi o territori non cooperativi a fini fiscali.
In particolare, come peraltro già accadeva in passato, è oggi prevista la deducibilità delle spese e degli altri componenti negativi di reddito derivanti da operazioni intercorse con imprese residenti, ovvero localizzate in Paesi o territori non cooperativi a fini fiscali, nei limiti del loro valore normale, a condizione che tali operazioni abbiano avuto concreta esecuzione.
Nello specifico, per espressa disposizione normativa (articolo 110, comma 9-bis e seguenti, Tuir), le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni, che hanno avuto concreta esecuzione, intercorse con imprese residenti ovvero localizzate in Paesi o territori non cooperativi a fini fiscali sono ammessi in deduzione nei limiti del loro valore normale, determinato ai sensi dell’articolo 9 Tuir.
In merito, si considerano Paesi o territori non cooperativi a fini fiscali le giurisdizioni individuate nell’allegato I alla lista UE delle giurisdizioni non cooperative a fini fiscali, adottata con conclusioni del Consiglio dell’Unione europea.
Le disposizioni previste in materia di costi black list si applicano anche alle prestazioni di servizi rese dai professionisti domiciliati in Paesi o territori non collaborativi.
Esiste, tuttavia, una causa esimente che consente di disapplicare la normativa in rassegna.
Infatti, le disposizioni sopra indicate non si applicano quando le imprese residenti in Italia forniscono la prova che le operazioni poste in essere rispondono a un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione.
Sotto tale profilo giova ricordare che in passato l’Agenzia delle entrate, con la risoluzione AdE 46/E/2004, aveva illustrato i dati e documenti ritenuti idonei a dimostrare l’esercizio dell’attività commerciale.
In particolare, l’impresa italiana che effettuava scambi commerciali poteva acquisire, da parte del soggetto estero, i seguenti documenti:
- il bilancio;
- l’atto costitutivo;
- un prospetto descrittivo dell’attività esercitata;
- i contratti di locazione degli immobili utilizzati come sede degli uffici e dell’attività;
- la copia delle fatture delle utenze elettriche e telefoniche;
- i contratti di lavoro dei dipendenti, con indicate anche le mansioni svolte;
- i conti correnti bancari della società estera;
- copia dei contratti di assicurazione relativi ai dipendenti ed agli uffici;
- le autorizzazioni sanitarie ed amministrative relative all’attività esercitata e all’utilizzo dei locali.
Di contro, per dimostrare l’effettivo interesse economico dell’operazione, era necessario dimostrare i vantaggi conseguiti nella transazione.
A titolo esemplificativo, il contribuente sul punto poteva dimostrare:
- i prezzi praticati dal fornitore particolarmente competitivi;
- l’alta qualità delle merci acquistate;
- l’esclusiva di determinati beni da parte di un fornitore;
- le vantaggiose dilazioni di pagamento concesse dal fornitore;
- la puntualità della consegna della merce da parte del vettore incaricato.
In definitiva possiamo affermare che le imprese ad ampio respiro internazionale, a decorrere dal 2023, dovranno nuovamente porre particolare attenzione alle transazioni economiche effettuate con l’estero e, in particolare con determinati Paesi o territori non cooperativi a fini fiscali, facendo riferimento alla lista UE delle giurisdizioni non collaborative ai fini fiscali che, al momento, è composta dai seguenti 12 Stati:
- American Samoa;
- Anguilla;
- Bahamas;
- Fiji;
- Guam;
- Palau;
- Panama;
- Samoa;
- Trinidad and Tobago;
- Turks and Caicos Islands;
- US Virgin Islands;
- Vanuatu.