Siamo veramente pronti a digitalizzare i nostri studi?
di Stefano DovierLa transizione digitale è un cambiamento di tale portata che Klaus Schwab, fondatore e direttore esecutivo del World Economic Forum, lo ha definito quarta rivoluzione industriale.
Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili si è dimostrato sempre sensibile al tema, in ultimo con il documento FNC del luglio 2019 intitolato “Il processo di aggregazione e la digitalizzazione negli studi professionali”.
Il mondo degli studi, però, sembra essere un po’ timoroso a riguardo.
La situazione si è sicuramente evoluta rispetto al 2019, complice il lockdown imposto dal Covid, che ha dato una forte accelerata all’adozione di strumenti digitali, ma un vero e proprio sviluppo in chiave digital non è ancora così percepibile.
Questo fatto è confermato dai dati dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale del Politecnico di Milano, che, anche nel 2022, mostrano uno scenario in cui l’adozione delle tecnologie digitali negli studi è veicolata principalmente da obblighi normativi. Gli strumenti che migliorano la competitività, invece, sono ancora poco utilizzati e conosciuti.
Il motivo di questo fenomeno è da attribuire non all’assenza o all’obsolescenza dell’infrastruttura tecnologica, ma ad una generalizzata mancanza di competenze digitali.
Tale dato ci viene trasmesso da più fronti, sia istituzionali che private.
Una prima fonte di conoscenza a riguardo è il Global Digital Skills Index, realizzato da uno tra i principali player mondiali del tech: Salesforce. Lo strumento condensa i dati ottenuti dall’azienda californiana a seguito di una ricerca che ha avuto lo scopo di analizzare la percezione dei lavoratori di diverse parti del mondo in merito alle loro competenze digitali.
Il sondaggio, che ha visto la partecipazione di più di 20.000 lavoratori provenienti da 19 paesi (anche dall’Italia), dimostra complessivamente una situazione di impreparazione e di sfiducia relativamente alle competenze digitali che gli intervistati hanno dimostrato.
Globalmente, infatti, quasi tre quarti degli intervistati (il 73%) affermano di non avere competenze digitali adeguate alle esigenze attuali delle aziende e un numero ancora maggiore (il 76%) ritiene di non possedere competenze essenziali per il futuro.
Se poniamo il focus sull’Italia, i numeri sono ancora peggiori: nel nostro caso ben l’86% dei lavoratori si sente impreparato quando parliamo di digitale.
Malgrado questa consapevolezza, però, sia a livello globale che nazionale, si sta facendo pochissimo per colmare questo divario: solo il 28% del campione (percentuale che si riduce al 17% in Italia) ha iniziato un percorso formativo per colmare il vuoto di competenze.
La medesima situazione è descritta dalla Commissione Europea che, attraverso l’indice DESI (Digital Economy and society Index), dal 2014 misura annualmente lo stato della digitalizzazione dei 27 paesi dell’Unione Europea.
L’indagine viene condotta tenendo in considerazione quattro parametri (capitale umano, connettività, integrazione delle tecnologie digitali e servizi pubblici digitali) e, anche in questo contesto, l’Italia, pur essendo la terza economia della UE per dimensioni, si colloca solo al 18° posto della classifica.
Decisamente meglio rispetto al 25° posto del 2021, ma ben lontano dalle capolista Finlandia, Danimarca e Olanda.
L’ambito in cui siamo più deboli è sempre quello delle competenze e il giudizio della Commissione è tranciante: “ancor oggi però oltre la metà dei cittadini italiani non dispone neppure di competenze digitali di base”.
Mal comune mezzo gaudio? Direi proprio di no.
La scarsa digitalizzazione si traduce inevitabilmente in scarsa competitività per gli studi, i quali non sono in grado di adeguare le competenze e che gestiscono i propri processi interni e le relazioni con l’esterno in modo poco performante.
Cosa si può fare allora? Vedere il lato positivo della situazione: questi numeri nascondono, in realtà, molte opportunità, sia per i soggetti che le competenze le hanno e che saranno sempre più appetibili nel mercato del lavoro, sia per quelli che vogliono costruirle, i quali possono ripensare i loro modelli di business e la loro professionalità.
L’importante è non nascondere la testa sotto la sabbia, facendo finta che il problema non esista.
Un primo passo per vincere la resistenza al cambiamento, potrebbe essere l’affiancare alla formazione sulle materie tecniche anche qualche corso che consenta di sviluppare un adeguato digital mindset, tale da far scaturire il cambiamento all’interno degli studi e di riorganizzarli in chiave digital, consentendo così di sviluppare efficacia ed efficienza.