Soci o tesserati?
di Guido MartinelliDurante queste ferie estive con una collega abbiamo avuto modo di conversare sul tema della equiparazione della fattispecie del tesserato a quella dell’associato ad una associazione o società sportiva dilettantistica ai fini del godimento della agevolazione sui corrispettivi specifici a fronte delle prestazioni di servizi resi.
Il problema sembrava definito alla luce di una presa di posizione da parte della Agenzia delle entrate: “Con riferimento alle attività effettuate dalle società sportive dilettantistiche nei confronti dei frequentatori e/o praticanti che non rivestono la qualifica di soci, si ritiene che la disposizione agevolativa” di cui al combinato disposto dell’art. 148 Tuir e 4 dpr. 633/72 “si applichi a condizione che i destinatari delle attività risultino tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali (Coni, Federazioni sportive nazionali, enti di promozione sportiva)” (R.M. n.38/E del 17 maggio 2010).
L’assunto della equivalenza, ai fini fiscali, del tesseramento al vincolo associativo, riconosciuto dalla Agenzia delle entrate, condivisibile e conforme alla previsione delle norme citate, ha portato anche molte associazioni, al fine di limitare i problemi di governance e di partecipazione ai momenti assembleari, spesso oggetto di rilievo in sede di accertamento, a ridurre il numero degli associati per incrementare quello dei semplici “tesserati”.
Ma, una prima domanda sorge spontanea: chi sono i tesserati?
Innanzitutto, in via preliminare occorre precisare che il termine si usa con riferimento ai regolamenti dell’ente sportivo nazionale al quale il sodalizio sportivo è affiliato. Pertanto, più correttamente, andrebbe scritto tesserato alla Federazione o all’ente di promozione sportiva. Ai fini in esame è, del tutto irrilevante, la circostanza che l’associazione o società sportiva rilasci “anche” una sua tessera di riconoscimento che, come tale, non ha alcun rilievo giuridico.
La natura di un tesseramento ad una organizzazione sportiva nazionale riconosciuta dal Coni può avere una duplice valenza. In un caso, come accade quasi sempre con gli enti di promozione sportiva, costituisce prova dell’avvenuta instaurazione del vincolo associativo tra la persona fisica e l’ente nazionale avvenuto per il tramite della sportiva e produce, in capo alla persona fisica, l’acquisizione dei diritti elettorali nell’ente di appartenenza, nell’altro, come accade, invece, quasi sempre con le Federazioni sportive nazionali, il tesseramento ha natura di atto amministrativo e costituisce una sorta di “autorizzazione”, di “patente” a partecipare all’attività sportiva organizzata da quella Federazione attraverso le squadre e l’attività del club sportivo presso il quale si tessera.
Definito ciò va subito affermato che, ai fini fiscali la diversificazione circa la natura del tesseramento è irrilevante e, pertanto, possiamo sicuramente affermare che, ai fini fiscali, il trattamento dei corrispettivi versato dai tesserati all’ente sportivo nazionale presso il quale è affiliato il sodalizio sportivo che fornisce il servizio è equiparato al corrispettivo versato dall’associato al medesimo sodalizio indipendentemente dalla natura del tesseramento stesso.
Tutto risolto, quindi? Basta tesserare e risolviamo i problemi della carenza di vita associativa?
La cautela è d’obbligo.
Un primo problema è legato al perfezionamento del tesseramento. È certo che, affinché scatti la legittimazione dell’agevolazione fiscale in capo al tesserato, sia necessario che, all’atto del pagamento del servizio da parte del medesimo, questo tesseramento si sia già perfezionato. Il momento di conclusione dell’iter varia tra le diverse realtà sportive nazionali ma, non vi è dubbio, non può definirsi concluso “almeno” prima che almeno i dati del nuovo tesserato siano comunicati alla segreteria generale della Federazione o dell’Ente di promozione sportiva.
Fino a quel momento la persona fisica è da considerarsi “terzo” pertanto, come tale, soggetto nei confronti del quale non potrà mai scattare il diritto alla defiscalizzazione del corrispettivo (“… si precisa che l’attività esterna degli enti associativi cioè quella resa nei confronti dei terzi, non rientra di regola nella sfera di applicazione delle norme agevolative sopra riportate …” C.M. n.12/09 e, meno recente, C.M. n. 124/98).
Ma ciò potrebbe continuare a non essere sufficiente. Infatti, come insegna la Suprema Corte (C. Cass. sez. V sent. n. 4147 del 20.02.2013), sarà comunque necessario che l’ente sportivo oggetto di accertamento dimostri “che l’attività svolta non aveva natura commerciale” e superi, pertanto, dimostrando, ad esempio, l’avvenuto perfezionamento del tesseramento in momento antecedente a quello di pagamento del servizio, “la presunzione della natura commerciale delle prestazioni fornite e dei beni ceduti dietro corrispettivo”.
Infatti non tutte le prestazioni di servizi a fronte delle quali l’associato o il tesserato versi un corrispettivo specifico possono essere ritenute defiscalizzate ma solo quelle svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali di natura “non commerciale”.
E qui, come se fossimo in un monopoli impazzito si pone la domanda: può una società sportiva dilettantistica senza scopo di lucro, ente commerciale per disciplina civilistica e fiscale (vedi sul punto anche la circ. 21/03) avere una attività istituzionale “non commerciale”?
Con la collega, consapevoli della difficoltà della risposta, arrivati a questo punto, abbiamo optato per andare a farci il bagno.