Società di comodo: i valori OMI in soccorso delle locazioni di fabbricati invenduti
di Fabio Garrini
Continuiamo l’analisi delle problematiche inerenti il mondo delle società di comodo verificando un caso particolare ma, ahimè, frequentissimo.
Società che dopo aver costruito immobili da destinare alla vendita, viste le difficoltà a trovare compratori, decidono di “metterli a reddito” (o almeno parte di essi) e che quindi devono verificare lo status di operatività. Si tratta di contribuenti che, completata la costruzione e nell’attesa di vendere, normalmente rischiano poco sotto il profilo della perdita sistemica in base alle previsioni introdotte dal DL 138/11, ma che invece sono sempre sul limite (o anche oltre) dal baratro nella verifica della sufficienza dei ricavi imputabili al periodo d’imposta ai sensi dell’art.30 L. n.724/94. Gli immobili costruiti, se locati temporaneamente, possono rimanere iscritti tra le rimanenze (quindi non pesano nel test), ma quando le locazioni iniziano ad essere più stabili, detti immobili possono dover essere riqualificati tra le immobilizzazioni.
Quest’ultimo punto è tutt’altro che di semplice valutazione, posto che il discrimine è molto labile e l’Agenzia, con una risoluzione emanata 10 anni or sono in tema di PEX (RM 152/E/04), aveva individuato nella locazione pluriennale un elemento atto ad individuare l’esercizio di attività immobiliare. La posizione è criticabile visto che ciò che rileva è la destinazione che si vuole dare all’immobile e anche se l’immobile viene locato tale destinazione potrebbe non essere venuta meno; ciò non di meno, la stipula una locazione pluriennale è certamente un indicatore che può stonare a tal fine.
Il vero problema per le immobiliari è nato 7 anni fa quando il D.L. 223/06 ha incrementato significativamente il coefficiente per il test di operatività: si ricordi infatti che per la generalità degli immobili il coefficiente di riferimento è il 6% (leggermente calmierato al 4% per gli acquisti avvenuti nell’anno e nei due anni precedente). Se tale coefficiente era già difficile da rispettare al momento in cui è intervenuta la richiamata modifica normativa, oggi ci si trova ancora più distanti da tale livello, in un periodo dove il settore immobiliare (anche quello delle locazioni) è in evidente flessione. E’ infatti esperienza comune che un reale coefficiente di mercato è probabilmente attorno al 3-4%, dato che dipende moltissimo dalla localizzazione e dalla tipologia dell’immobile, ma comunque sempre al di sotto della soglia stabilita dal Legislatore. Soglia che, purtroppo, non è più stata ritoccata al ribasso.
La conseguenza di tale situazione è quella per cui un’immobiliare di costruzione che abbia locato immobili comunque si troverebbe a lottare nella nell’affannosa ricerca di una qualche esimente alla disciplina delle società di comodo. La prima ricerca deve essere, evidentemente, nell’ambito delle cause di esclusione e disapplicazione che permettono di risolvere alla radice il problema dello status di non operatività.
Sul versante delle immobiliari vi sono delle considerazioni piuttosto interessanti da spendere, proposte dalla stessa Amministrazione Finanziaria, probabilmente conscia che i livelli richiesti dal test non sono raggiungibili con ordinarie logiche di mercato e, tale mancanza, non può certo imputarsi a comportamenti elusivi dei contribuenti, ma esclusivamente al fatto che, più di un certo canone, il mercato immobiliare non è in grado di produrre.
Nella CM 44/E/07 sono previste una serie di situazioni che potrebbero giustificare la presentazione di istanze di interpello: ad esempio locazioni a canoni vincolati ovvero nel caso di subentro in un contratto esimente, ove il locatore non può quindi incidere, almeno nel breve periodo, sul canone pattuito.
Ma in questa sede si preferisce puntare l’attenzione su un altro aspetto.
Come precisato nella CM 5/E/07, nei confronti delle società immobiliari che hanno per oggetto la realizzazione e la successiva locazione di immobili è consentito disapplicare la normativa sulle società non operative in presenza delle particolari situazioni oggettive che non consentano il raggiungimento del livello minimo di ricavi.
Nella successiva CM 25/E/07 si afferma che per la determinazione del valore di mercato dei canoni di locazione si potrà fare riferimento ai valori riportati nella banca dati delle quotazioni immobiliari dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare.
Per fere un esempio: si prenda un fabbricato residenziale nel centro del Comune di Mantova in normale stato di conservazione di 80 mq. Un immobile che il mercato potrebbe valutare sui 200.000 euro e quindi, se fosse posseduto da una società, questo sarebbe il parametro di riferimento per il calcolo del test di operatività, richiedendo quindi € 12.000 di ricavi medi per soddisfare il test e cioè € 1.000 al mese (!). Verificando i valori OMI, per tale immobile sono stimati canoni di locazione mensili tra € 456 ed € 680 (viene fornita una forbice), quindi valori molto più vicini ad ordinarie situazioni di mercato. Un esempio che ciascuno può ripetere con gli immobili delle propria città, arrivando a conclusioni analoghe.
L’aspetto negativo è che tale situazione non è causa di disapplicazione automatica, ma occorrerà inoltrare all’Agenzia delle Entrate apposita istanza di interpello, avendo evidentemente cura di dimostrare le situazioni in cui ci si trova all’interno della forbice con lo stato di conservazione dell’immobile.
L’Agenzia propone tale soluzione per i fabbricati invenduti e locati da chi li ha costruiti, ma a parere di chi scrive non pare vi siano significative differenze con le immobiliari di gestione che gli immobili li hanno acquistati per metterli a reddito. Anche in questo caso, personalmente, il tentativo dell’istanza di interpello potrebbe essere una strada percorribile.
Comunque, sia nell’uno che nell’altro caso, incrociando le dita…