5 Ottobre 2016

Società semplici che erogano servizi dell’azienda ai soci

di Luigi Scappini
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L’evoluzione dell’intero sistema produttivo coinvolge anche il settore primario e quindi l’agricoltura, comparto economico originariamente legato a un concetto strettamente terriero, inteso quale mera coltivazione del fondo e successiva raccolta dei frutti.

Tale impostazione è venuta meno a partire dalla riforma del 2001 ove il Legislatore, recependo quanto previsto dalla delega di cui alla L. 57/2001, riscrivendo integralmente l’articolo 2135, cod. civ., ha proposto una definizione di imprenditore agricolo che, accanto alle attività tipicamente agricole, ne svolge anche altre, le cosiddette connesse, lasciando di queste ultime una definizione aperta, tant’è vero che esse continuano ad arricchirsi.

Ma, al di fuori di queste considerazioni di carattere generale, quello che si vuole evidenziare è la circostanza per cui il Legislatore, in riferimento alle suddette attività connesse, abbia introdotto due requisiti necessari per poterle considerare tali: uno soggettivo e uno oggettivo.

Limitandosi a ricordare come il parametro oggettivo sia stato individuato nella prevalenza, quello che in questa sede si vuole analizzare è il requisito soggettivo richiesto che, dottrina e prassi hanno sempre definito come la necessità che l’attività connessa sia svolta da parte di un soggetto già di per sé imprenditore agricolo.

Il requisito soggettivo richiede una stretta connessione tra attività connessa e soggetto che la svolge, in assenza della quale non scatta quella fictio iuris che comporta l’attrazione dell’attività nell’ambito agricolo a discapito della sua natura commerciale.

Tale principio è suffragato dallo stesso dato letterale della norma nel momento in cui si afferma che “Si intendono comunque connesse le attività esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette …”, la cui interpretazione lascia veramente pochi spazi a interpretazioni differenti del requisito soggettivo.

Tuttavia, in tale contesto si sono inserite alcune sentenze di legittimità in cui questa connessione soggettiva stretta viene bypassata allorquando l’attività connessa viene svolta da una società semplice nei confronti dei singoli soci.

A parere dei giudici (sentenza n. 7238/2015) “il legislatore non ha prescritto come requisito indispensabile la corrispondenza soggettiva tra chi svolge l’attività principale e quella connessa, ferma restando la necessità di valutare, caso per caso, la rilevanza quantitativa e qualitativa degli apporti, al fine di stabilire se l’attività connessa non risponda prevalentemente a scopi commerciali od industriali, realizzando utilità indipendenti o prevalenti rispetto all’attività agricola”  (in senso conforme anche la sentenza n. 15708/2009).

Di fatto, viene completamente stravolto lo schema creato dal Legislatore che, come evidenziato sopra, ha esplicitato la sussistenza obbligatoria di un requisito soggettivo, consistente nella coincidenza tra soggetto che compie l’attività connessa e committente della stessa.

A ben vedere, una deroga è concessa, infatti, la stessa Agenzia delle entrate, con la circolare n. 44/E/2004, introduce la possibilità che le attività connesse di prodotto siano eseguite all’esterno.

In questo caso, tuttavia, i giudici sdoganano il principio per cui una società costituita da imprenditori agricoli, nel momento in cui svolge le attività connesse in prevalenza sui prodotti “conferiti” da parte dei soci, rientra nei parametri per dichiarare un reddito agrario.

Nella realtà un’impostazione similare è stata introdotta con l’articolo 1, comma 1094, L. 296/2006 (la Finanziaria per il 2007) con cui è previsto un regime fiscale specifico per tali forme societarie di esercizio delle attività connesse: “Si considerano imprenditori agricoli le società di persone e le società a responsabilità limitata, costituite da imprenditori agricoli, che esercitano esclusivamente le attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione di prodotti agricoli ceduti dai soci. In tale ipotesi, le società possono optare per la determinazione del reddito applicando all’ammontare dei ricavi il coefficiente di redditività del 25 per cento.”.

Ecco che allora, il nostro Legislatore nella realtà ha pensato a un veicolo, alternativo a quelle forme tipiche dell’associazionismo, quali le cooperative, per dare la possibilità di veicolare a un soggetto partecipato quelle prestazioni che il singolo associato non vuole o non sarebbe in grado di eseguire.

La società semplice rappresenta la forma elementare e, al tempo stesso, quella che meglio si innesta in un contesto agricolo e, non considerarla ricompresa nella previsione di cui al comma 1094 richiamato starebbe a significare un suo declassamento rispetto a quelle altre forme societarie che lo stesso Legislatore è conscio non si prestino, o per meglio dire prestavano alla luce dell’evoluzione nell’esercizio delle attività agricole,  per caratteristiche proprie a un loro impiego in agricoltura.

In conclusione si ritiene che le società semplici costituite solo da imprenditori agricoli, nel momento in cui “lavorino” e “commercializzino” solamente prodotti dei soci, rientrino pienamente nella previsione di cui al comma 1094, mentre quando lavorino anche per c/terzi esulino dall’esercizio di un’attività agricola connessa, salvo che loro stesse non esercitino un’attività agricola per definizione e fermo restando il rispetto dell’ulteriore requisito della prevalenza.

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Le problematiche fiscali in agricoltura