Sono sequestrabili anche le somme di denaro accreditate sul c/c dopo il sequestro?
di Angelo GinexIl D.Lgs. 158/2015 ha formalmente introdotto, nell’alveo della disciplina dei reati tributari, l’articolo 12-bis, D.Lgs. 74/2000, secondo cui, in ipotesi di condanna (o di patteggiamento) per un illecito penale tributario, è obbligatoria la confisca, anche per equivalente (laddove vi ricorrano i presupposti), dei beni che costituiscono il profitto e/o il prezzo del reato.
Tuttavia, a ben vedere, tale norma aveva solo in parte carattere innovativo, in quanto si limitava ad inserire, nel corpo del D.Lgs. 74/2000, una disposizione il cui contenuto normativo era già contemplato nel comma 143, dell’articolo 1, L. 244/2007, in tema di confisca obbligatoria per delitti tributari, dandole solo una collocazione più adeguata.
Dovendo inquadrare la disciplina in commento nel nostro sistema normativo, si rammenta che la confisca è una misura di sicurezza patrimoniale disciplinata dall’articolo 240 c.p. la quale, ponendo un vincolo di indisponibilità sui beni del reo, si realizza con l’espropriazione a favore dello Stato del prezzo o del profitto del reato. L’istituto in rassegna mira, dunque, ad impedire che l’impiego economico dei beni di provenienza delittuosa possa consentire al colpevole di garantirsi il vantaggio che era oggetto specifico del disegno criminoso.
Tuttavia, quando non è possibile agire direttamente sui beni costituenti il profitto e/o il prezzo del reato (c.d. confisca diretta), troverà applicazione la c.d. confisca per equivalente: in tal modo, si confischeranno utilità patrimoniali di valore corrispondente a tale prezzo e/o profitto, che siano nella materiale disponibilità del reo.
Momento antecedente a tale misura è il c.d. sequestro preventivo, diretto oppure per valore, attraverso il quale, con la sottoposizione a vincolo del prezzo e/o del profitto del reato (oppure, ancora, dell’equivalente), si assicura la futura esecuzione della confisca all’esito dell’accertamento della responsabilità penale del soggetto indagato/imputato.
Premesso che, in via generale, il profitto del reato è identificabile nel vantaggio economico derivante in via diretta e immediata dalla commissione dell’illecito e può consistere anche in un risparmio di spesa, nei reati tributari esso coincide con il mancato pagamento del tributo ed è di regola costituito, nei delitti dichiarativi e di omesso pagamento, dal risparmio economico derivante dagli importi evasi.
In tale contesto, si apprestano ad essere interessanti gli spunti di diritto offerti dalla giurisprudenza di legittimità la quale, di recente, è tornata sul tema della sequestrabilità, ai fini della c.d. confisca diretta, delle somme di denaro confluite sui conti correnti della società imputata/indagata, anche dopo la data di materiale esecuzione del provvedimento cautelare in parola, e quindi dopo il blocco dei medesimi conti correnti.
In particolare, con sentenza n. 41589/2023, la Corte di Cassazione, facendo applicazione dei principi già affermati dalle Sezioni Unite (sentenza n. 31617/2015 e sentenza n. 42415/2021), ha ribadito che in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta, di cui all’articolo 12-bis, D.Lgs. 74/2000, ove l’esecuzione avvenga su denaro giacente presso una banca, è legittima l’apprensione, fino all’importo indicato nella statuizione giudiziaria, anche delle somme accreditate successivamente alla sua notifica, nonché alla sua materiale esecuzione, e quindi anche dopo che la banca abbia reso la prima dichiarazione in ordine alle giacenze, ai sensi dell’articolo 547 c.p.c., non ostandovi la disciplina relativa alle formalità di esecuzione della misura, giacchè le disposizioni del codice di procedura civile non impediscono al terzo di rendere più dichiarazioni, pur in assenza di nuove notifiche del provvedimento impositivo.
A tal proposito, infatti, si deve precisare che il sequestro preventivo non priva la società della disponibilità dell’intero profitto, bensì del denaro presente in quel preciso momento sui conti correnti ad essa intestati. Per questo, non sempre, né necessariamente, i due termini si equivalgono poiché il denaro è un bene fungibile, mentre il profitto è una aggettivazione che qualifica il bene stesso.
Alla luce di ciò, l’incasso postumo di crediti preesistenti all’esecuzione del sequestro non si vede come possa incidere sulla qualifica, come profitto, delle somme pagate, ancorché successivamente, a tale titolo, posto altresì che, in caso di condanna per uno dei delitti di cui al D.Lgs. 74/2000, il giudice deve sempre ordinare la confisca del profitto, ai sensi del citato articolo 12-bis, D.Lgs. 74/2000, ancorché non preceduta dal sequestro preventivo del profitto stesso, non costituendo l’adozione del sequestro, o la sua fruttuosa esecuzione, condizione di legittimità della confisca diretta.
In conclusione, deve ritenersi pacifico che le somme di danaro confluite sul conto corrente bancario dopo la materiale esecuzione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto del reato, poiché (e nella misura in cui) costituiscono anch’esse profitto, sono sequestrabili ai sensi del combinato disposto dell’articolo 12-bis, D.Lgs. 74/2000 e dell’articolo 321, comma 2, c.p.p., non rilevando la circostanza, si direbbe del tutto accidentale, che siano state corrisposte (oppure, siano entrate nella disponibilità dell’avente diritto) dopo la materiale esecuzione del sequestro.