17 Marzo 2023

Sospensione dell’esecuzione e mancata richiesta di rateizzazione

di Luigi Ferrajoli
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La scheda di FISCOPRATICO

Con la riforma del processo tributario attuata dal D.Lgs. 156/2015 è stata legislativamente riconosciuta la possibilità anche nel processo tributario di adire la tutela cautelare anche nella fase delle impugnazioni sia nel giudizio di appello che nel giudizio di cassazione.

Gli articoli 52 e 62-bis D.Lgs. 546/1992 disciplinano, infatti, la fase cautelare nel giudizio di impugnazione, rispettivamente, nel giudizio di appello e nel giudizio di cassazione, consentendo al soggetto impugnante di chiedere la sospensione dell’esecutività della sentenza se sussistono gravi e fondati motivi.

Tale locuzione fa riferimento ai consueti presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora: sotto il secondo profilo, è richiesta una considerevole rilevanza del pregiudizio che l’esecuzione della sentenza potrebbe arrecare al ricorrente.

In un’ottica di rafforzamento della tutela della parte, al contribuente è accordata la possibilità di richiedere in ogni caso la sospensione dell’esecuzione dell’atto “se da questa può derivargli un danno grave ed irreparabile”.

Al contribuente è quindi consentito ottenere la sospensione degli effetti dell’atto impugnato anche quando questo sia confermato da una sentenza di merito.

La facoltà riconosciuta al contribuente di chiedere la sospensione dell’atto oppure della sentenza consente la tutela cautelare in diverse ipotesi; si pensi, ad esempio, al caso di rigetto del ricorso introduttivo, la cui sospensione lascerebbe comunque in piedi gli effetti dell’atto.

Inoltre, la possibilità di chiedere la sospensione dell’atto nei gradi successivi al primo offre tutela al contribuente nelle ipotesi di sentenza di cassazione con rinvio, tenuto conto che, per consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, il giudizio di rinvio costituisce una fase nuova ed autonoma, funzionale ad una sentenza che non si sostituisce ad alcuna precedente pronuncia, riformandola, ma statuisce direttamente sulle domande proposte dalle parti.

Dunque, “dopo la cassazione con rinvio la sentenza di primo grado e la sentenza di appello cassata si trovano sempre esattamente nella stessa condizione di inefficacia, di impossibilità di reviviscenza e di insuscettibilità di passaggio in giudicato” (Corte di Cassazione, sentenza n. 23596/2011).

Ciò comporta che l’Amministrazione è legittimata a riscuotere la pretesa erariale secondo le regole vigenti nella fase di impugnazione dell’atto impositivo.

Ciò premesso, va considerato che molto spesso nella giurisprudenza tributaria di merito emessa in sede cautelare a seguito della presentazione dell’impugnazione contro sentenze emesse in primo grado o in grado di appello i presupposti indicati dal legislatore per la concessione della sospensione della sentenza o dell’atto impugnato vengono ritenuti insussistenti in ragione della sola mancata richiesta da parte del contribuente della dilazione di pagamento, che escluderebbe di per sé la sussistenza del requisito del pericolo di subire un danno grave ed irreparabile e ciò indipendentemente da qualunque valutazione della effettiva situazione di pericolo di grave pregiudizio ed alla concedibilità o meno della stessa dilazione di pagamento.

Tale interpretazione non appare corretta in relazione ad una attenta valutazione dei presupposti della domanda cautelare così come enunciati dal legislatore sui quali la giurisprudenza di merito ha chiarito che “l’articolo 52, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992 non richiama congiuntamente i canonici concetti del fumus boni iuris e del periculum in mora, ma richiede la sussistenza di gravi e fondati motivi per la sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata o, comunque, di un danno grave e irreparabile per la concessione della sospensione dell’esecuzione dell’atto oggetto del giudizio. La sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata e la sospensione dell’esecuzione dell’atto condividono il requisito della gravità, rispettivamente configurabile con delibazione in diritto (non disgiunta da quella sulla fondatezza della motivazione) e con prognosi in fatto (accompagnata da una valutazione sulla irreparabilità del danno alla luce dell’attività concretamente esercitata dall’intimato-istante). Il Collegio è chiamato a verificare la sussistenza dei gravi e fondati motivi o comunque del danno grave e irreparabile secondo un bilanciamento che deve avvenire secondo la metafora dei vasi comunicanti, potendo il maggiore rilievo di uno compensare il minore rilievo dell’altro. Costituisce danno grave ciò che eccede il pregiudizio necessariamente subito dal debitore per l’esecuzione della sentenza, ove foriero di un inaccettabile squilibrio tra i vantaggi dell’esecutore ed i sacrifici dell’esecutato. Costituisce danno irreparabile ciò che l’esecuzione causa con la perdita o con la distruzione delle qualità essenziali o delle funzioni economiche del bene, senza la possibilità di un suo reintegro in natura o per equivalente in caso di accoglimento del ricorso”. (CTR Lombardia, ordinanza n. 274/2018 del 14.02.2018).

Deve, pertanto, ritenersi che, da un lato, il difensore accorto, istante per la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza e dell’atto oggetto del giudizio, è bene abbia cura di valorizzare prudentemente al meglio sia la presenza del fumus boni iuris che del periculum in mora, pur, eventualmente, insistendo maggiormente sulla gravità ed irreparabilità del danno provocabile dall’esecuzione della sentenza impugnata; e, dall’altro lato, che il Giudice tributario non possa, in sede cautelare, desumere de plano, dalla mancata richiesta di dilazione di pagamento, l’inesistenza del pericolo di danno grave ed irreparabile senza una attenta valutazione di tale requisito alla luce dell’attività concretamente svolta dal contribuente-istante.