Sospensione dell’Iva all’importazione al riparo dalle frodi successive
di Marco PeiroloLa sospensione dell’Iva all’importazione non viene meno nell’ipotesi in cui l’evasione sia stata commessa dal cessionario non già nell’ambito dell’operazione intraunionale collegata all’importazione, ma dell’operazione intraunionale successiva, effettuata a partire dallo Stato membro del cessionario stesso.
Con questa conclusione, raggiunta nella causa C-531/17 del 14 febbraio 2019 (Vetsch Int. Transporte), la Corte di giustizia è ritornata a pronunciarsi sulla portata delle condizioni applicative del regime sospensivo previsto per i beni immessi in libera pratica destinati ad essere trasportati/spediti in altro Paese membro dell’Unione europea in esecuzione di una cessione intraunionale, anche “per assimilazione”, dopo le recenti sentenza di cui alle cause C-528/17 del 25 ottobre 2018 (Milan Božičevič Ježovnik) e C-108/17 del 20 giugno 2018 (Enteco Baltic).
La sospensione d’imposta è stabilita dall’articolo 143, par. 1, lett. d), Direttiva 2006/112/CE, in base al quale gli Stati membri esentano da Iva le importazioni di beni trasportati/spediti a partire da un Paese UE diverso da quello di arrivo del trasporto/spedizione, se la cessione dei beni, effettuata dall’importatore designato o riconosciuto come debitore dell’imposta in virtù dell’articolo 201, è esente in conformità all’articolo 138 della stessa Direttiva.
In attuazione della Direttiva 2009/69/UE, è stato aggiunto il par. 2 all’articolo 143 Direttiva 2006/112/CE, che subordina la sospensione d’imposta alla duplice condizione che:
- le cessioni dei beni oggetto di importazione siano esenti ai sensi dell’articolo 138, par 1, e 138, par. 2, lett. c), Direttiva 2006/112/CE, configurando una cessione intraunionale “in senso stretto” o “per assimilazione”;
- l’importatore abbia fornito alle Autorità doganali del Paese membro di importazione le informazioni riguardanti:
- il numero di identificazione Iva che gli è stato attribuito nel Paese membro di importazione o il numero di identificazione Iva attribuito al suo rappresentante fiscale debitore dell’imposta nello Stato membro di importazione;
- il numero di identificazione Iva dell’acquirente cui i beni sono ceduti a norma dell’articolo 138, par. 1, attribuitogli in altro Paese membro o il numero di identificazione Iva che gli è stato attribuito nel Paese membro di arrivo del trasporto/spedizione quando i beni sono soggetti a un trasferimento a “se stessi”, cioè a norma dell’articolo 138, par. 2, lett. c);
- su richiesta delle Autorità doganali, la prova che i beni importati sono destinati ad essere trasportati/spediti a partire dal Paese membro di importazione verso un altro Paese membro.
Fermo restando che, nella disciplina italiana, il regime sospensivo in esame è regolato, con alcune differenze, dai commi 2-bis e 2-ter dell’articolo 67 D.P.R. 633/1972, inseriti dall’articolo 8 L. 217/2011 (Comunitaria 2010), i giudici dell’Unione, già nella sentenza Enteco Baltic, avevano affermato che l’esenzione dell’Iva all’importazione è subordinata all’esenzione applicabile all’operazione effettuata “a valle”, cioè alla cessione intraunionale, anche “per assimilazione”, dipendendo quindi dal rispetto delle condizioni sostanziali previste dall’articolo 138 Direttiva 2006/112/CE.
Nella sentenza di cui alla causa C-528/17 è stato preso in considerazione il caso in cui la cessione intraunionale sia viziata dalla frode commessa dal cessionario.
In base all’orientamento dei giudici dell’Unione, il fornitore che, in buona fede e adottate tutte le misure che possano essergli ragionevolmente richieste, abbia effettuato un’operazione che rientri, a sua insaputa, in una frode commessa dal cliente, non può essere tenuto a pagare l’Iva a posteriori (causa C-409/04 del 27 settembre 2007, Teleos).
Questo principio è applicabile anche se la cessione intraunionale è realizzata dall’importatore avvalendosi della sospensione d’imposta, in quanto – osserva la Corte nella causa C-528/17 – “negare automaticamente a un soggetto passivo importatore e fornitore, senza tenere conto della sua diligenza, il diritto all’esenzione dall’Iva all’importazione in caso di frode commessa dall’acquirente, nell’ambito della cessione intracomunitaria successiva, equivarrebbe a interrompere il nesso tra l’esenzione all’importazione e l’esenzione della cessione intracomunitaria successiva”.
A maggiore ragione, quindi, è possibile ritenere che la sospensione dell’Iva all’importazione non venga meno neppure nell’ipotesi che ha formato oggetto della causa C-531/17, in cui l’evasione sia stata commessa dal cessionario non già nell’ambito dell’operazione intraunionale collegata all’importazione, ma dell’operazione intraunionale successiva, effettuata a partire dallo Stato membro del cessionario stesso.
In pratica, essendo “dimostrato che tale evasione non riguarda il trasferimento da cui dipende la concessione dell’esenzione dall’Iva all’importazione di cui all’articolo 143, lettera d), della direttiva Iva e all’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), della direttiva Iva modificata, tale esenzione non può essere negata all’importatore designato o riconosciuto come debitore ai sensi dell’articolo 201 di tale direttiva, in una situazione in cui, come risulta dalla decisione di rinvio, nessun elemento consente di ritenere che l’importatore sapesse o avrebbe dovuto sapere che tale cessione successiva all’importazione rientrava in un’evasione commessa dai destinatari bulgari”.