Sospensione dell’Iva all’importazione e frode del destinatario
di Marco PeiroloNel caso in cui l’importatore abbia beneficiato dell’esenzione dell’Iva all’importazione sulla base di un’autorizzazione rilasciata in seguito a un previo controllo dell’Ufficio doganale, quest’ultimo non è tenuto a pagare l’Iva a posteriori qualora risulti, in occasione di un ulteriore controllo, che non ricorrevano le condizioni sostanziali dell’esenzione, a meno che non si accerti, in base ad elementi oggettivi, che tale soggetto sapeva o doveva sapere che le cessioni successive alle importazioni di cui trattasi rientravano in una frode, commessa dall’acquirente, ed egli non ha adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere per evitare la frode.
Con questa conclusione, raggiunta nella causa C-528/17 del 25 ottobre 2018 (Milan Božičevič Ježovnik), la Corte di giustizia è ritornata a pronunciarsi sulla portata delle condizioni applicative del regime sospensivo previsto per i beni immessi in libera pratica destinati ad essere trasportati/spediti in altro Paese membro dell’Unione europea in esecuzione di una cessione intraunionale, anche “per assimilazione”, dopo la recente sentenza di cui alla causa C-108/17 del 20 giugno 2018 (Enteco Baltic).
La sospensione d’imposta è stabilita dall’articolo 143, par. 1, lett. d), Direttiva 2006/112/CE, in base al quale gli Stati membri esentano da Iva le importazioni di beni trasportati/spediti a partire da un Paese UE diverso da quello di arrivo del trasporto/spedizione, se la cessione dei beni, effettuata dall’importatore designato o riconosciuto come debitore dell’imposta in virtù dell’articolo 201, è esente in conformità all’articolo138 della stessa Direttiva.
In attuazione della Direttiva 2009/69/UE, è stato aggiunto il par. 2 all’articolo 143 Direttiva 2006/112/CE, che subordina la sospensione d’imposta alla duplice condizione che:
- le cessioni dei beni oggetto di importazione siano esenti ai sensi dell’articolo 138, par 1, e 138, par. 2, lett. c), della Direttiva 2006/112/CE, configurando una cessione intraunionale “in senso stretto” o “per assimilazione”;
- l’importatore abbia fornito alle Autorità doganali del Paese membro di importazione le informazioni riguardanti:
- il numero di identificazione Iva che gli è stato attribuito nel Paese membro di importazione o il numero di identificazione Iva attribuito al suo rappresentante fiscale debitore dell’imposta nello Stato membro di importazione;
- il numero di identificazione Iva dell’acquirente cui i beni sono ceduti a norma dell’articolo 138, par. 1, attribuitogli in altro Paese membro o il numero di identificazione Iva che gli è stato attribuito nel Paese membro di arrivo del trasporto/spedizione quando i beni sono soggetti a un trasferimento a “se stessi”, cioè a norma dell’articolo 138, par. 2, lett. c);
- su richiesta delle Autorità doganali, la prova che i beni importati sono destinati ad essere trasportati/spediti a partire dal Paese membro di importazione verso un altro Paese membro.
Fermo restando che, nella disciplina italiana, il regime sospensivo in esame è regolato, con alcune differenze, dall’articolo 67, commi 2-bis e 2-ter, D.P.R. 633/1972, inseriti dall’articolo 8 L. 217/2011 (Comunitaria 2010), i giudici dell’Unione, già nella sentenza Enteco Baltic, avevano affermato che l’esenzione dell’Iva all’importazione è subordinata all’esenzione applicabile all’operazione effettuata “a valle”, cioè alla cessione intraunionale, anche “per assimilazione”, dipendendo quindi dal rispetto delle condizioni sostanziali previste dall’articolo 138 Direttiva 2006/112/CE.
Se, quindi, la sospensione dell’Iva all’importazione è strettamente collegata al regime impositivo dell’operazione “a valle” non stupisce che il nuovo arresto giurisprudenziale consideri applicabili, ai fini dell’articolo 143, par. 1, lett. d), Direttiva 2006/112/CE, le indicazioni rese dalla Corte di giustizia in merito alle cessioni intraunionali viziate da frode.
In base alla sentenza Teleos, di cui alla causa C-409/04 del 27 settembre 2007, il fornitore che, in buona fede e adottate tutte le misure che possano essergli ragionevolmente richieste, abbia effettuato un’operazione che rientrava, a sua insaputa, in una frode commessa dal cliente, non può essere tenuto a pagare l’Iva a posteriori.
Tale principio vale anche se la cessione intraunionale è realizzata dall’importatore avvalendosi della sospensione d’imposta, in quanto – osservano i giudici dell’Unione nella causa C-528/17 in esame – “negare automaticamente a un soggetto passivo importatore e fornitore, senza tenere conto della sua diligenza, il diritto all’esenzione dall’IVA all’importazione in caso di frode commessa dall’acquirente, nell’ambito della cessione intracomunitaria successiva, equivarrebbe a interrompere il nesso tra l’esenzione all’importazione e l’esenzione della cessione intracomunitaria successiva”.
In coerenza con questa conclusione, l’istituto della revisione dell’accertamento doganale, di cui all’articolo 78, par. 3, del Codice doganale comunitario, non è applicabile in caso di buona fede.
Di regola, l’importatore è tenuto al pagamento dei dazi doganali dovuti per l’importazione di una merce rispetto alla quale l’esportatore ha commesso un illecito doganale, anche qualora l’importatore sia in buona fede e non abbia partecipato all’illecito a nessun titolo (causa C-97/95 del 17 luglio 1997, Pascoal & Filhos).
In via di eccezione, rileva la Corte nella causa C-528/17 in commento, nell’ambito del regime sospensivo dell’Iva all’importazione di cui all’articolo 143, par. 1, lett. d), Direttiva 2006/112/CE, “non si può dedurre dal solo fatto che, in materia doganale, l’articolo 78, paragrafo 3, del codice doganale preveda che, «quando dalla revisione della dichiarazione o dai controlli a posteriori risulti che le disposizioni che disciplinano il regime doganale considerato sono state applicate in base ad elementi inesatti o incompleti, l’autorità doganale, nel rispetto delle norme in vigore e tenendo conto dei nuovi elementi di cui essa dispone, adotta i provvedimenti necessari per regolarizzare la situazione», che tali autorità possano esigere dal soggetto passivo importatore il pagamento a posteriori dell’IVA all’importazione in qualsiasi caso e senza valutarne la diligenza e la buona fede”.