Una sostanza molto oltre la forma
di Massimiliano TasiniLa risoluzione 97/E/2017 ha suscitato, come era facilmente prevedibile, uno “sciame sismico” di commenti. Era però meno prevedibile il coro di sorprese.
Questi i fatti. Il contribuente chiede all’Agenzia delle Entrate di valutare gli effetti, ai fini delle imposte dirette e di quelle indirette, ed in special modo di registro, di una scissione societaria finalizzata alla successiva cessione da parte dei soci persone fisiche delle partecipazioni detenute nella società scissa, specificatamente in ordine ai profili di abuso del diritto.
L’Agenzia risponde sul fronte delle imposte dirette, ma ovviamente non risponde sull’imposta di registro. E la chiave è il comma 12 dell’articolo 10-bis dello Statuto dei diritti del Contribuente, secondo cui “i vantaggi fiscali non possono essere disconosciuti contestando la violazione di specifiche norme tributarie”.
E qui la norma per contestare il comportamento del contribuente esiste, ed è data dall’articolo 20 del D.P.R. 131/1986, che impone di tassare gli atti in base agli effetti giuridici dagli stessi prodotti, in luogo della forma con cui sono stati redatti.
La questione è stata affrontata dalla Corte di Cassazione talmente tante volte che facciamo fatica a contarle.
Limitando l’analisi alle ultime pronunce, può essere richiamata la sentenza della Cassazione n. 3562/2017, nella quale si afferma che:
- l’imposta di registro ha per oggetto il negozio giuridico e non l’atto documentale;
- detta imposta richiede perciò l’interpretazione unitaria del negozio, anche se frazionato in atti distinti.
In sostanza, natura ed effetti giuridici dell’atto prevalgono sul titolo e la forma apparente. Il che può essere tradotto brutalmente con l’espressione prevalenza della sostanza sulla forma, essendo invece irrilevanti i comportamenti, semplici o complessi che siano, tenuti dai contribuenti.
Venendo al punto che qui particolarmente interessa, in motivazione si rileva come l’articolo 20 del D.P.R. 131/1986 “non è disposizione predisposta al recupero di imposte eluse, perché l’istituto dell’abuso del diritto … presuppone una mancanza di causa economica che non è invece prevista per l’applicazione dell’articolo 20 del DPR 131/1986, il quale solo si interessa di fotografare gli effetti oggettivamente raggiunti dal negozio”.
Si badi bene allora che la riqualificazione prescinde dalla volontà delle parti, e dunque non occorre affatto “scomodare” la simulazione. Questo per il semplice motivo che è del tutto irrilevante che le parti abbiano voluto quel negozio, ovvero quel collegamento negoziale.
Questa tesi è stata recentissimamente ribadita dalla sentenza della Cassazione 19 luglio 2017 n. 17789, nella quale è affermato che ai fini dell’articolo 20 del D.P.R. 131/1986 non assume alcun rilievo l’intento elusivo (cfr. anche Cass. n. 24595/2015 e n. 3481/2014); la sentenza peraltro richiama, condividendone le conclusioni, la sentenza della Cassazione n. 6758/2017, nella quale si statuisce la “natura chiaramente interpretativa della norma, la quale si riferisce agli atti nella loro oggettività ermeneutica, prescindendo da qualunque riferimento all’eventuale disegno elusivo delle parti”.
Questa sentenza però è importante, in quanto focalizza due questioni spesso trascurate dai difensori.
Il contribuente nel ricorso si era invero ben difeso, chiarendo la causa sottostante al negozio giuridico sottoposto alla registrazione – aumento di capitale attraverso il conferimento di un immobile – e rimarcando che l’operazione non aveva prodotto l’effetto di traslare la proprietà della quota di partecipazione, ed il Giudice di merito aveva avallato tale impostazione.
Ora, la Cassazione rimarca che, essendo il giudizio che la riguarda di legittimità, essa non può sindacare la determinazione del Giudice di merito, salvochè:
- non sussista vizio di motivazione della sentenza;
- il Giudice abbia violato i criteri di interpretazione dei contratti;
- la motivazione della sentenza non risulti contraria a logica o incongrua.
Si tratta di passaggi molto stretti, che devono essere apprezzati anche in ragione degli obiettivi limiti frapposti dalla normativa processuale al ricorso per Cassazione, soprattutto in ragione della attuale struttura dell’articolo 360 c.p.c., come anche interpretato dalla Suprema Corte.
Tornando da dove siamo partiti, e volendo tirare le fila, può dirsi che dunque, ciò che importa non è ciò che le parti hanno scritto nei contratti conclusi, e nemmeno contano le ragioni sottese a quegli atti, bensì solo ciò che esse hanno effettivamente, oggettivamente, complessivamente realizzato.
E allora, poche sorprese: in fondo l’Agenzia non fa altro che aderire ad una tesi oramai consolidata.