Sottrazione fraudolenta per le quote sociali cedute in presenza di un debito erariale
di Angelo GinexLa sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte è disciplinata dall’articolo 11 D.Lgs. 74/2000. Si tratta di una fattispecie non nuova nel sistema tributario, in quanto, pur non essendo regolata dalla previgente disciplina contenuta nella L. 516/1982, la fase della riscossione trovava già tutela penale nell’abrogato articolo 97 D.P.R. 602/1973.
Tuttavia, a differenza di quest’ultima, la nuova formulazione non configura più un reato di danno, ma un reato di pericolo concreto, per la cui consumazione è sufficiente, con un giudizio ex ante, che la condotta di sottrazione abbia messo in pericolo l’efficacia di questa procedura.
In tale contesto, allora, il bene giuridico oggetto di tutela viene individuato nell’interesse a rendere possibile la riscossione coattiva da parte dell’erario attraverso l’intangibilità della garanzia patrimoniale rappresentata dai beni dell’obbligato, al fine di evitare che il contribuente si sottragga al proprio dovere di concorrere alla spesa pubblica (cfr. Cassazione, sentenza n. 3011 del 20.01.2017).
Nonostante l’uso del pronome indefinito “chiunque”, il reato in esame è un reato proprio, atteso che esso può essere commesso esclusivamente dal contribuente, in relazione ai tributi dovuti in materia di imposte dirette e Iva. Ciò non esclude, però, che questo reato possa essere commesso, in concorso con l’intraneus, anche con la partecipazione di un soggetto che non ha la qualifica di contribuente.
Con specifico riferimento all’elemento oggettivo, è d’uopo evidenziare che la condotta punita dal reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte consiste nell’alienazione simulata o nel compimento di altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni, sia mobili che immobili, idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva attivata in relazione a crediti dell’erario per le imposte sui redditi o sull’Iva (e/o i relativi interessi e sanzioni amministrative).
Quindi, si tratta di una condotta che ha esclusivamente un contenuto commissivo, in quanto nella norma si fa riferimento unicamente ad atti, e che può avvenire in ogni momento, eventualmente anche prima dello svolgimento di qualsivoglia attività di verifica fiscale e, a maggior ragione, di qualsivoglia procedura esecutiva (cfr. Cassazione, sentenza n. 14720 del 09.04.2008).
Passando all’individuazione delle diverse condotte sanzionate, la prima è data da chi compie un’alienazione simulata dei propri beni, avente quindi ad oggetto il trasferimento ad altri, a vario titolo (compravendita, donazione, ecc.), della proprietà di un bene; questa può essere assoluta (quando la volontà delle parti è quella di non costituire alcun rapporto contrattuale e, quindi, di non operare alcun trasferimento del bene) o relativa (quando le parti effettivamente concludono un contratto, che è tuttavia diverso da quello apparente).
Per quanto concerne poi la seconda condotta sanzionata, ovvero il compimento di altri atti fraudolenti, si rileva che vi rientrano unicamente quegli atti che, pur se effettuati attraverso negozi giuridici legittimi, comportano un fittizio depauperamento del patrimonio del contribuente, finalizzato alla sottrazione al pagamento delle imposte.
In tale contesto, si è recentemente affermato che integra il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte la realizzazione, da parte del socio e amministratore di una società, di un’operazione di cessione delle relative quote sociali in presenza di debiti tributari gravanti sulla stessa, in quanto operazione diretta a privare fraudolentemente tale società di ogni suo avere al fine di poter continuare ad esercitare la precedente attività sotto altre spoglie (cfr. Cassazione, sentenza n. 19989 del 03.07.2020).
Nella specie, veniva contestata l’alienazione simulata e l’acquisto delle quote della società Alfa da parte di altro ente ad esso riconducibile, nonché il compimento di altri atti fraudolenti sui propri beni idonei a rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva. In considerazione di ciò, veniva emesso decreto di sequestro delle quote e del complesso dei beni aziendali di detta società, che, a seguito di richiesta di riesame, veniva confermato dal competente Tribunale con ordinanza, poi impugnata in Cassazione.
In particolare, i ricorrenti sostenevano che non fosse necessario procedere al sequestro di tali quote, poiché essi disponevano di un ingente patrimonio immobiliare e, quindi, non vi fosse il rischio che la pretesa tributaria non trovasse capienza nelle loro disponibilità, non essendoci una riduzione significativa della garanzia patrimoniale, tale da rendere la cessione delle quote atto idoneo a rendere in tutto o in parte la procedura di riscossione coattiva.
Ebbene, i Giudici di vertice, evidenziato che nel caso di specie il debito tributario era della società, la quale era stata fraudolentemente privata di ogni suo avere, hanno concluso che il possesso, da parte dei contribuenti persone fisiche, di un patrimonio immobiliare tale da garantire ampiamente i debiti contratti dalla società non assumesse alcuna rilevanza.
Da ultimo, la Suprema Corte ha osservato che, pur trattandosi di società di capitali a ristretta base societaria, per la quale i soci possono essere chiamati a rispondere dell’obbligazione contratta dall’ente quando si presume che all’evasione dell’imposta corrisponda la distribuzione degli utili non contabilizzati, non vi fosse prova contraria che i maggiori ricavi sono stati accantonati o reinvestiti (cfr. Cassazione, ordinanza n. 18032 del 24.07.2013).