Spese di trasferta con limiti alla deduzione
di Sandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi TributariL’articolo 95, comma 3, del Tuir disciplina la deducibilità delle spese di vitto e alloggio sostenute per le trasferte effettuate fuori dal territorio comunale ove ha sede l’impresa: sul punto, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che tale regime è applicabile a tutti i titolari di redditi assimilati a quello di lavoro dipendente (risoluzione AdE 95/E/2002). La fattispecie della trasferta viene in generale identificata quando l’attività lavorativa viene svolta al di fuori del Comune ove è sita la sede di lavoro: l’individuazione di quest’ultima è lasciata alla libera cognizione delle parti, non sindacabile dal legislatore, né dall’Amministrazione finanziaria (C.M. 326/E/1997), e coincide normalmente con il luogo di lavoro individuato nella lettera di assunzione o nel contratto di lavoro. Per i collaboratori coordinati e continuativi (nel cui ambito rientrano gli amministratori di società), la trasferta si configura, invece, quando essi sono chiamati a svolgere la loro attività fuori dalla sede naturale in cui sono tenuti contrattualmente a svolgere le proprie funzioni. Per alcune attività di collaborazione coordinata e continuativa, non è possibile individuare contrattualmente la sede di lavoro, né tantomeno identificarla con la sede del datore di lavoro, ragion per cui si deve aver riguardo al domicilio fiscale del collaboratore.
I rimborsi delle trasferte possono essere effettuati secondo tre diverse modalità: analitica (o a piè di lista), forfetaria o mista. I rimborsi spese analitici rilevano fiscalmente, su base giornaliera, nei seguenti termini: euro 180,76 per le trasferte effettuate in Italia, ed euro 258,23 per le trasferte effettuate all’estero. Eventuali rimborsi concessi per importi eccedenti le predette soglie sono indeducibili dal reddito d’impresa del datore di lavoro (ferma restando l’irrilevanza reddituale in capo al dipendente trattandosi si rimborsi concessi con il metodo analitico).
La documentazione da conservare unitamente ai rimborsi a piè di lista deve essere intestata al dipendente ed al datore di lavoro: se intestata al solo dipendente, deve riferirsi a un incarico affidato. Sono interamente deducibili le spese relative ai biglietti di viaggio e, anche se non documentate, le spese diverse da quelle di vitto alloggio e trasporto, eventualmente sostenute dal dipendente in occasione di una trasferta: ad esempio, i costi di lavanderia, telefono, parcheggio e mance (C.M. 326/E/1997). Non è più necessaria la predisposizione di un’autorizzazione preventiva alla trasferta, essendo sufficiente che il trasferimento e le spese ad esso collegate risultino dall’ordinaria documentazione interna conservata dal datore di lavoro (C.M. 188/E/1998).
Per i rimborsi forfetari e quelli misti erogati in denaro al dipendente o al collaboratore, non sono, invece, previste limitazioni alla deducibilità, come chiarito dall’Amministrazione finanziaria, con la conseguenza che i predetti limiti di deducibilità si riferiscono esclusivamente alle ipotesi di rimborso analitico.
Qualora il dipendente o collaboratore coordinato e continuativo sia stato autorizzato ad utilizzare l’autovettura di proprietà, oppure noleggiata per la specifica trasferta, la spesa deducibile è limitata al costo di percorrenza (o alla tariffa di noleggio) relativo ad autoveicoli di potenza non superiore a 17 cavalli fiscali, oppure 20 cavalli fiscali, in caso di utilizzo di motori diesel. In caso di utilizzo di autoveicoli con una potenza superiore alle suddette, le spese di trasporto risulteranno deducibili solo fino alla concorrenza del limite sopra identificato. È bene precisare che l’eventuale riconoscimento al dipendente di una tariffa chilometrica superiore rispetto a quella indicata non comporta alcun riflesso reddituale in capo allo stesso, ferma restando l’indeducibilità dell’eccedenza in capo al datore di lavoro.
Per approfondire questioni attinenti all’articolo vi raccomandiamo il seguente corso: