Secondo la prassi dell’Amministrazione finanziaria in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso delle società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, per essere stati, invece, accantonati dalla società ovvero da essa reinvestiti. Questa presunzione, secondo la giurisprudenza di legittimità, si fonda sulla massima di esperienza secondo cui, quando un utile occulto corrisponde a disponibilità economica materialmente distribuibile e tale disponibilità non viene reperita presso la società, è ragionevole ritenere che essa sia stata distribuita ai soci, se essi erano nelle condizioni giuridiche e fattuali di agevolmente determinare tale distribuzione. In sostanza, secondo la giurisprudenza, nell’accertamento degli utili extrabilancio in capo ai soci a seguito dell’accertamento di maggiori redditi in capo alla società a ristretta base è necessario che: a) sussista il reddito societario suscettibile di distribuzione (occorre che sussista un utile della società); b) tale ricchezza sia occulta (occorre un utile extracontabile o extrabilancio della società); c) tale ricchezza sia stata accertata (occorre l’accertamento dell’utile occulto della società); d) sia fortemente plausibile l’avvenuta distribuzione ai soci.
Sotto questo ultimo profilo, la sentenza della CTP di Sondrio, in commento, precisa che l’avvenuta distribuzione dell’utile occulto ai soci non può fondarsi unicamente sulla presunzione di distribuzione basata sulla ristretta base societaria, in quanto la stessa è priva di efficacia probante, essendo ipotizzabili con uguale grado di probabilità e ragionevolezza, altre diverse conclusioni, come, ad esempio, la creazione di riserve occulte, la destinazione delle disponibilità ad altri usi, la possibilità di appropriazione degli utili da parte di chi amministra la società, la destinazione degli utili alla creazione di fondi neri da utilizzare per il pagamento di costi non contabilizzati.
Conseguentemente è onere dell’Amministrazione finanziaria dimostrare che il reddito derivante dalla presunta distribuzione dei maggiori utili accertati è stato effettivamente percepito dal socio, nel quadro dell’articolo 39 D.P.R. 600/1973, se il socio è imprenditore o professionista, e dell’articolo 38 D.P.R. 600/1973 negli altri casi. Tale onere non può gravare sul contribuente nel senso di gravare lo stesso della prova contraria della presunzione di distribuzione degli utili, non vedendosi in qual modo concreto il socio possa fornire un tale prova che si concretizza nella prova di un fatto negativo. Sostenere che la mancata prova del fatto contrario (cioè la non percezione dei dividendi da parte dei soci: fatto negativo) rende la conclusione assunta dall’Ufficio (cioè che nelle società di capitali a ristretta base sociale l’utile occulto è distribuito ai soci) più probabile di quella contraria (cioè che nelle società di capitali a ristretta base sociale l’utile occulto non è distribuito ai soci) non è accettabile dal momento che, dal punto di vista logico-giuridico, la mancata prova di un fatto contrario a (o incompatibile con) quello presunto non è prova del fatto presunto, salvo che ricorra lo schema della presunzione legale, e cioè sussista una specifica norma di legge che collega un effetto giuridico alla mancata prova del fatto contrario a quello presunto.
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