Spetta la retribuzione convenzionale al dipendente in smart working?
di Marco BargagliCome noto, l’articolo 2 Tuir prevede che un soggetto passivo è residente in Italia se, per la maggior parte del periodo d’imposta (183 giorni o 184 in caso di anno bisestile):
- è iscritto nell’anagrafe della popolazione residente;
- ha il domicilio nel territorio dello Stato, definito come la sede principale degli affari e interessi (articolo 43, comma 1, cod. civ.);
- ha stabilito la propria residenza nel territorio dello Stato, identificabile come la dimora abituale del soggetto (articolo 43, comma 2, cod. civ.).
Per determinare compiutamente la residenza fiscale di un soggetto passivo, occorre anche valutare le disposizioni previste dall’articolo 4, paragrafo 2, del modello Ocse di Convenzione, il quale prevede che nei casi di particolare incertezza, la persona fisica sarà considerata residente nello Stato in cui dispone di un’abitazione permanente.
Inoltre, qualora il soggetto passivo disponga di un’abitazione permanente in entrambi gli Stati, la sua residenza è determinata secondo i seguenti criteri residuali disposti in ordine decrescente:
- ubicazione del centro degli interessi vitali (la persona fisica che dispone di un’abitazione principale in entrambi gli Stati sarà considerata residente nel Paese nel quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette);
- dimora abituale (ove non sia possibile individuare la residenza del contribuente in base ai due criteri sopra citati, una persona fisica sarà considerata residente dello Stato in cui soggiorna abitualmente);
- nazionalità della persona fisica (quando i primi tre criteri non sono dirimenti, il contribuente sarà considerato residente dello Stato contraente la Convenzione di cui possiede la nazionalità).
Con particolare riferimento al regime fiscale riservato al reddito conseguito da un dipendente distaccato all’estero, operante in regime di smart working a causa del particolare contesto epidemiologico “Covid-19”, si è recentemente pronunciata l’Agenzia delle entrate con la risposta all’interpello n. 345/2021 del 17.05.2021.
Prima di entrare nel merito della vicenda, si segnala che sia a livello internazionale, nel documento pubblicato il 3 aprile 2020 denominato “OECD Secretariat Analysis of Tax Treaties and the Impact of the COVID-19 Crisis”, l’Ocse ha invitato le autorità fiscali dei vari Paesi a valutare attentamente le particolari circostanze derivanti dall’epidemia in corso, prevedendo periodi più idonei nella valutazione della residenza.
Tale documento è stato oggetto di un successivo aggiornamento apportato in data 21 gennaio 2021, con contestuale diffusione delle nuove linee guida “update guidance on tax treaties and the impact of the COVID- 19 pandemic”).
In particolare, l’Ocse ha raccomandato alle amministrazioni fiscali e alle autorità competenti di tenere in debita considerazione il carattere di eccezionalità rivestito dall’emergenza da Covid-19.
Passiamo adesso ad esaminare il caso prospettato nell’interpello ove è stato evidenziato che:
- la società istante, in considerazione della dimensione internazionale del Gruppo cui appartiene, utilizza la mobilità internazionale del proprio personale;
- l’organico della società è parzialmente composto da dipendenti che svolgono la propria attività lavorativa all’estero presso le sedi del Gruppo.
In tale contesto, è frequente che il personale dipendente della società svolga la propria attività lavorativa all’estero, attraverso l’istituto giuridico del distacco o attraverso contratti di lavoro di diritto estero con le altre consociate estere del Gruppo.
L’improvvisa crisi sanitaria internazionale determinata dal diffondersi del Covid-19 ha stravolto le modalità ordinarie di svolgimento della prestazione lavorativa, determinando casi di “immobilismo forzato” ossia, in altre circostanze, la necessità di rientri improvvisi nei Paesi di origine impedendo poi ai dipendenti il ritorno nel luogo in cui normalmente l’attività veniva prestata in precedenza.
In tale contesto, si è anche reso necessario fare ricorso al c.d. “smart working” dalla propria abitazione, in considerazione della sopravvenuta impossibilità di frequentare gli uffici aziendali per effetto di raccomandazioni governative e dell’implementazione delle correlate politiche aziendali.
Nello specifico è stato prospettato il caso di un dipendente fiscalmente residente in Italia, assunto con contratto a tempo indeterminato e inquadramento di dirigente, distaccato a decorrere dal 1° maggio 2019 presso una consociata estera con sede di lavoro presso gli uffici della società a Parigi.
Il predetto dipendente, durante il 2019 e nel 2020, è stato qualificato come soggetto fiscalmente residente in Italia in quanto, nonostante il distacco in Francia, ha mantenuto l’iscrizione anagrafica e il domicilio nello Stato italiano per la maggior parte di ciascun periodo d’imposta e, contestualmente, la sede principale degli interessi familiari e sociali in Italia.
A causa della straordinarietà della situazione e delle restrizioni alla libertà di circolazione imposte derivanti dall’emergenza Covid-19, il lavoratore è rientrato in Italia nel mese di febbraio 2020 continuando a svolgere la propria prestazione lavorativa in regime di “remote working”, con la diretta conseguenza che il luogo di svolgimento della prestazione lavorativa del dipendente è diventato, eccezionalmente e temporaneamente, l’abitazione del lavoratore in Italia ove la famiglia del dipendente ha sempre vissuto.
Tutto ciò premesso, dopo avere descritto il rinnovato scenario lavorativo, occorre chiarire se il reddito di lavoro dipendente prestato all’estero possa essere assoggettato a tassazione assumendo come base imponibile la retribuzione convenzionale fissata dal decreto del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali (articolo 4, comma 1, D.L. 317/1987), senza tener conto della retribuzione effettivamente corrisposta al lavoratore.
In merito, per espressa disposizione normativa, le agevolazioni previste dalla normativa spettano al contribuente solo al ricorrere di determinate condizioni.
L’articolo 51, comma 8-bis, Tuir prevede infatti che “il reddito di lavoro dipendente, prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell’arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il decreto del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali (..)”.
A tal fine, a parere dell’Agenzia delle entrate, la citata disciplina fiscale trova applicazione a condizione che:
- l’attività lavorativa sia svolta all’estero per un determinato periodo di tempo con carattere di permanenza o di sufficiente stabilità;
- l’attività lavorativa svolta all’estero costituisca l’oggetto esclusivo del rapporto di lavoro e, pertanto, l’esecuzione della prestazione lavorativa sia integralmente svolta all’estero;
- il lavoratore, nell’arco di dodici mesi, soggiorni nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni.
Sul punto, i vari documenti di prassi emanati nel tempo hanno chiarito che il criterio adottato dal legislatore ai fini dell’applicazione delle norme interne che disciplinano la tassazione del reddito di lavoro dipendente è quello della presenza fisica del lavoratore nello Stato in cui viene effettuata la prestazione lavorativa (circolare Ministero delle Finanze 16.11.2000, n. 207 e circolare AdE 17/E/2017).
In definitiva, come indicato nella risposta all’interpello n. 345/2021, il requisito del soggiorno nel Paese estero per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco di dodici mesi si ritiene soddisfatto nell’arco temporale intercorrente tra il 1° maggio 2019 (giorno del distacco in Francia) fino al 22 febbraio 2020 (ultimo giorno di permanenza all’estero), dal momento che in tale arco temporale il lavoratore ha soggiornato nel Paese estero per 298 giorni.
Inoltre, in relazione a quanto chiarito dalla circolare 20/E/2011, la retribuzione convenzionale relativa al mese di febbraio 2020 deve essere riproporzionata tenendo conto che dal 23 febbraio 2020 il dipendente soggiorna in Italia e, conseguentemente, da tale data non è rispettata una delle condizioni richieste dal legislatore.
Quindi, in relazione al reddito di lavoro dipendente prodotto a decorrere dal 23 febbraio 2020, occorrerà necessariamente rideterminare il reddito di lavoro dipendente prodotto dal lavoratore ai sensi dell’articolo 51, commi da 1 a 8, Tuir.