27 Aprile 2018

Spigolando sul decreto correttivo del terzo settore – II° parte

di Guido Martinelli
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La bozza di decreto correttivo del codice del terzo settore, recentemente approvata, non risolve tutti i dubbi interpretativi che il testo vigente ha fino ad oggi procurato.

Il primo è legato al rapporto che ci deve essere, nelle organizzazioni di volontariato e nelle associazioni di promozione sociale, tra i volontari e i “lavoratori”. Infatti, se saranno disciplinate le conseguenze di una riduzione degli associati al di sotto della soglia minima di sette, nulla viene detto su un altro rapporto delicato, ossia quello tra associati e lavoratori di detti enti del terzo settore.

Il primo comma dell’articolo 33 Cts prevede che il numero dei lavoratori impiegati nell’attività non possa essere superiore al 50% del numero dei volontari per le organizzazioni di volontariato.

Previsione simile riporta l’articolo 36 per le associazioni di promozione sociale (“il numero dei lavoratori impiegati nell’attività non può essere superiore al 50% del numero dei volontari o al cinque per cento del numero degli associati”).

Se l’ente, a seguito della riduzione della soglia minima di associati, superasse dette percentuali e, di conseguenza, si iscrivesse in altra sezione del registro, con riferimento alla quale detti limiti non sono presenti, non si presenterebbe alcun problema.

Ma nel caso in cui l’eventuale riduzione del numero dei volontari e degli associati non scendesse sotto il numero indicato (passando ad esempio da 20 a 10) questa riduzione potrebbe far venire meno il requisito proporzionale minimo previsto tra questi soggetti e i lavoratori.

Anche questa circostanza, se non saranno ristabilite entro l’anno le condizioni previste dal codice comporterà la necessità della cancellazione dal registro della associazione o la necessaria richiesta di iscrizione ad altra sezione del registro medesimo? Un chiarimento appare opportuno.

La bozza di decreto correttivo tace anche ai fini della disciplina Iva applicabile agli enti del terzo settore.

Pertanto rimane irrisolto l’aspetto della rilevanza, ai fini di detta imposta, dei corrispettivi per prestazioni specifiche incassati da associati di associazioni culturali, iscritte o non iscritte nel registro unico del terzo settore, visto che, pur in presenza di una modifica per detti enti ai fini reddituali (articolo 148, comma 3, Tuir), rimane invariato il testo della omologa norma ai fini Iva (articolo 4, comma 4, D.P.R. 633/1972).

Opportuno il chiarimento inserito all’articolo 76 teso ad estendere anche alle organizzazioni di volontariato le agevolazioni, già previste per le fondazioni, in materia di donazioni alle strutture sanitarie di beni strumentali.

Altrettanto positivamente deve essere letta la novella all’articolo 79 D.Lgs. 117/2017.

Viene infatti introdotto un comma 2 bis che consente una maggiore flessibilità nella determinazione della natura commerciale o meno dell’ente del terzo settore.

La previsione vigente, infatti, tassativamente vincola la non commercialità dell’ente allo svolgimento di attività di interesse generale i cui corrispettivi non superano i costi di diretta imputazione. Così formulata sarebbe sufficiente un’unica stagione “in positivo” per comportare la qualifica dell’attività svolta come commerciale incidendo anche sulla natura dell’ente.

Viene ora previsto che: “le attività di cui al comma due si considerano non commerciali qualora i ricavi non superino di oltre il dieci per cento i relativi costi per ciascun periodo di imposta e per non oltre due periodi di imposta consecutivi”. Detta deroga appare relativa solo alle attività di interesse generale svolte. Laddove dette circostanze perdurassero anche nel terzo periodo di imposta, l’ente si vedrà di diritto inserito tra gli enti del terzo settore di natura commerciale in presenza di qualsiasi scostamento rispetto al criterio generale di ricavi non superiori ai costi di diretta imputazione.

Viene ribadito che il mutamento della qualifica da ente del terzo settore non commerciale a commerciale opera a partire dal periodo di imposta in cui l’ente assume natura commerciale.

L’articolo 80 viene novellato chiarendo, ove fosse stato ritenuto necessario, che tra i proventi ricompresi nella determinazione forfettaria del reddito viene inserita anche la raccolta fondi commerciale.

Le attività di cui all’articolo 84 vengono estese anche agli enti filantropici e viene rintrodotta la previsione, prima presente nella abrogata L. 266/91 e poi non ricompresa nel codice del terzo settore dell’esenzione dall’imposta di registro degli atti costitutivi e di quelli connessi allo svolgimento delle attività delle organizzazioni di volontariato.

Si è infine opportunamente creato un collegamento tra l’articolo 87 e l’articolo 13 del codice del terzo settore uniformando all’importo di euro 220.000 il limite al di sotto del quale appare possibile effettuare un rendiconto di cassa e sono stati reintrodotti gli enti assistenziali tra quelli che potranno continuare a beneficiare della de-commercializzazione dei corrispettivi specifici di cui all’articolo 148, comma 3, Tuir, anche dopo che il citato articolo sarà operativo nella nuova formulazione prevista dal codice del terzo settore.

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