26 Aprile 2018

Spigolando sul decreto correttivo del terzo settore – I° parte

di Guido Martinelli
Scarica in PDF

È noto che il Consiglio dei Ministri ha approvato in prima lettura, e poi trasmesso alla conferenza permanente  Stato – Regioni e alle  competenti commissioni parlamentari per raccogliere il loro previsto parere, il testo di alcuni decreti correttivi della riforma del terzo settore in virtù di quanto previsto dall’articolo 1, comma 7, L. 106/2016 che prevede, entro l’anno dall’emanazione dei primi decreti, la facoltà al Governo di emanare, nel rispetto dei principi, dei criteri direttivi e delle procedure previsti per l’esercizio della delega, uno o più decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive.

Premesso, quindi, che considerazioni più meditate e le illustrazioni dei contenuti sono rinviate a quando si avranno i testi definitivi, qualche considerazione si impone comunque.

La prima è che sono rimasti inascoltati i suggerimenti pervenuti anche dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti tesi a recepire all’interno del decreto determinate agevolazioni per le associazioni sportive e per le culturali che avrebbero facilitato il loro ingresso nel terzo settore. Pertanto le sportive continueranno a godere di maggiori agevolazioni rimanendo fuori dal terzo settore piuttosto che entrandoci, mentre le culturali dovranno sopportare un altissimo costo in termini di perdita di agevolazioni.

Infatti l’articolo 89, comma 4, D.Lgs. 117/2017, novellando il testo dell’articolo 148, comma 3, Tuir, esclude, per le associazioni culturali, la decommercializzazione delle attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti.

Se a ciò si unisce, per le attività commerciali, la inapplicabilità della L. 398/1991 ne deriva, dal momento di entrata in vigore del titolo X del codice del terzo settore (la quale è subordinata all’autorizzazione della commissione europea e alla operatività del RUNTS), un rilevante incremento dell’attività imponibile sia ai fini delle dirette che dell’Iva per questi soggetti rispetto ad oggi.

La seconda considerazione è, invece, che si è trovato il modo di aumentare di quattro componenti il consiglio nazionale del terzo settore e di creare un nuovo organismo territoriale di controllo (dividendo il Friuli Venezia Giulia, oggi accorpato al Veneto) composto da sette membri.

Da salutare positivamente è il recupero, nel decreto correttivo, di una agevolazione prima presente solo nella legge sulle associazioni di promozione sociale e poi scomparsa con l’abrogazione di questa da parte del codice del terzo settore. Viene ripristinata, allargandola a tutti gli enti del terzo settore, il diritto, per i lavoratori subordinati che intendano svolgere attività di volontariato, “di usufruire delle forme di flessibilità di orario di lavoro o delle turnazioni previste dai contratti o dagli accordi collettivi, compatibilmente con l’organizzazione aziendale”

La bozza di decreto corregge poi (parzialmente) un problema relativo alle organizzazioni di volontariato e alle associazioni di promozione sociale.

Il codice del terzo settore prevede infatti, in entrambe le fattispecie, che debbano essere composte da almeno sette associati persone fisiche o tre associazioni, senza nulla disciplinare nel caso in cui nel corso della gestione si scenda sotto questo numero.

La novella prevede che, trascorso un anno senza che l’organizzazione di volontariato o l’associazione di promozione sociale abbia adeguato il numero di soci al minimo richiesto dalla legge, l’ente tipizzato potrà chiedere di essere iscritto nell’altra sezione del registroaltri enti del terzo settore” o tra gli altri enti tipizzati nei quali un numero minimo di associati non sia richiesto. Ove questo non accada l’ente sarà cancellato dal registro perdendo tutti i diritti a ciò conseguenti.

Questo porta ad una ulteriore considerazione alla quale il tenore della norma non consente di dare una risposta univoca.

L’organizzazione di volontariato o l’associazione di promozione sociale che abbiano chiesto e ottenuto la personalità giuridica con la procedura prevista per gli enti del terzo settore dall’articolo 22 Cts, nel momento in cui perdono la qualifica di enti del terzo settore, ad esempio a causa del mancato reintegro del numero minimo, perdono anche l’autonomia patrimoniale così conquistata?

La relazione tecnica allegata al decreto correttivo sembra andare in questa direzione, direzione che, ad avviso di chi scrive appare quantomeno opinabile in quanto l’acquisizione di uno status si può perdere solo per motivi espressamente indicati (ad esempio in presenza di perdite patrimoniali superiori ad un terzo del patrimonio minimo, vedi l’articolo 22, comma 5, Cts).

Sicuramente opportuna potrà essere una presa di posizione sul punto.

Per approfondire questioni attinenti all’articolo vi raccomandiamo il seguente corso:

Sport e terzo settore. Cosa cambia?