Sport dilettantistico e proventi da attività connesse
di Luca CaramaschiTra i diversi aspetti analizzati dalla corposa circolare 18/E/2018 di particolare rilievo appaiono le precisazioni fornite dall’Agenzia delle entrate in merito al trattamento dei proventi derivanti dallo svolgimento di attività commerciali connesse agli scopi istituzionali.
Si tratta dell’agevolazione contemplata dall’articolo 25, comma 2, lett. a), L. 133/1999, secondo la quale non concorrono alla formazione del reddito imponibile delle associazioni sportive dilettantistiche senza scopo di lucro (e delle società di capitali sportive dilettantistiche, come confermato dalla stessa Agenzia al paragrafo 3.3 della circolare 21/E/2003) che hanno optato per il regime di favore di cui alla L. 398/1991 (oltre che alle associazioni pro loco), per un numero di eventi complessivamente non superiore a due per anno e per un importo complessivamente non superiore a 51.645,69 euro, i proventi realizzati “nello svolgimento di attività commerciali connesse agli scopi istituzionali”.
Tra questi il recente documento di prassi vi ricomprende, a titolo esemplificativo, i proventi derivanti dalla somministrazione di alimenti e bevande in occasione dell’evento sportivo, dalla vendita di materiali sportivi, di gadget pubblicitari, dalle sponsorizzazioni, dalle cene sociali, dalle lotterie, etc.
In relazione alla predetta agevolazione sussiste uno specifico obbligo di rendicontazione fissato dall’articolo 20, comma 2, D.P.R. 600/1973 che si sostanzia nella redazione, entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio sociale, di un apposito e separato rendiconto, tenuto e conservato ai sensi dell’articolo 22 D.P.R. 600/1973, nel quale vanno riportate, in modo chiaro e trasparente, anche a mezzo di una relazione illustrativa, le entrate e le spese afferenti ciascuno degli eventi realizzati.
La stessa circolare AdE 18/E/2018 sul punto, al paragrafo 6.8, ricorda che la mancata predisposizione del rendiconto non determina di per sé l’inapplicabilità dell’agevolazione qualora, in sede di controllo, l’associazione o società sportiva dilettantistica sia comunque in grado di fornire idonei riscontri al fine di attestare la realizzazione di proventi esclusi dal reddito imponibile. Resta tuttavia ferma in questo caso l’applicabilità dell’onerosa sanzione prevista dall’articolo 9, comma 1, D.lgs. 471/1997 per la mancata osservanza degli obblighi relativi alla tenuta dei documenti contabili (da 1.000 a 8.000 euro).
Dopo aver chiarito che per la fruizione dell’agevolazione è necessario che le attività commerciali siano strutturalmente funzionali alla manifestazione sportiva dilettantistica e vengano rese in concomitanza con lo svolgimento della manifestazione stessa, l’Agenzia, ribaltando l’orientamento già espresso in passato con la circolare 43/E/2000 e riproposto nel numero del 2007 del suo periodico bimestrale “L’Agenzia informa”, afferma che “la previsione agevolativa di cui all’articolo 25, comma 2, L. 133/1999, relativa ai proventi realizzati da associazioni sportive e società sportive dilettantistiche senza fini di lucro con opzione per il regime di cui alla legge n. 398 del 1991 nello svolgimento di attività commerciali connesse agli scopi istituzionali, opera solo agli effetti dell’Ires e non dell’Iva”.
Conclusione a dir poco stupefacente se si considera che il D.M. 10.11.1999, nel fissare a 51.645,69 euro il limite richiesto dall’articolo 25, comma 2, L. 133/1999, fa esplicito riferimento a “L’importo complessivo dei proventi realizzati, in via occasionale e saltuaria, nello svolgimento di attività commerciali connesse agli scopi istituzionali e a seguito di raccolte di fondi effettuate con qualsiasi modalità nell’ambito di un numero complessivo non superiore a due eventi organizzati nel corso del periodo di imposta dalle associazioni sportive dilettantistiche di cui all’articolo 25, comma 1 [oggi comma 2], della L. 133/1999, che non concorrono alla formazione del reddito delle predette associazioni”.
E proprio a conferma della dichiarata occasionalità delle predette attività è la stessa agenzia delle entrate a precisare al paragrafo 1.3 della circolare 43/E/2000 che “Per quanto riguarda il trattamento tributario ai fini Iva, è evidente che le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate dalle associazioni sportive nell’ambito delle attività che presentano il carattere di occasionalità e saltuarietà sono, in base ai principi generali, escluse dal campo di applicazione dell’Iva”.
Il cambio di orientamento teso ad escludere l’agevolazione ai fini Iva (orientamento contrario di cui peraltro la circolare AdE 18/E/2018 non fa alcun cenno) muove, secondo l’Agenzia, dai recenti pronunciamenti giurisprudenziali della Corte di Giustizia dell’Unione europea (il documento di prassi cita la Sentenza della Corte di Giustizia UE del 13.6.2013 nella causa C-62/12) secondo cui, in base alle prescrizioni della Direttiva CE n. 112 del 28.11.2006 (c.d. “Direttiva Iva”), un soggetto, già avente la qualifica di soggetto passivo ai fini Iva per talune sue attività economiche, deve essere considerato come soggetto passivo, sempre ai fini Iva, per qualsiasi altra attività esercitata in modo occasionale che si sostanzi nella cessione di beni o nella prestazione di servizi.
Da ciò l’Agenzia ne consegue che gli eventi di cui all’articolo 25, comma 2, L. 133/1999:
- per le associazioni sportive dilettantistiche costituiscono comunque operazioni rilevanti agli effetti dell’Iva, atteso che l’esercizio dell’opzione per il regime ex L. 398/1991 (cui è condizionata la fruibilità dell’agevolazione ai fini Ires di cui all’articolo 25, comma 2, L. 133/1999) presuppone lo svolgimento già di attività qualificabili come commerciali e, quindi, la soggettività passiva dell’ente;
- per le società sportive dilettantistiche di cui all’articolo 90 L. 289/2002 costituiscono comunque operazioni rilevanti agli effetti dell’Iva avendo le stesse società, dal punto di vista fiscale, la natura commerciale ed essendo, pertanto, già soggetti passivi Iva.
Se la soluzione proposta dall’Agenzia con riferimento alle società sportive dilettantistiche di cui all’articolo 90 L. 289/2002 presenta certamente valide argomentazioni legate alla natura indubbiamente “commerciale” del soggetto (anche se il tema “Iva”, per tali soggetti, è aspetto che la stessa circolare AdE 18/E/2018 ha trascurato), non altrettanto si può dire con riferimento alle associazioni sportive dilettantistiche.
Dire che “l’esercizio dell’opzione per il regime ex L. 398/1991 (cui è condizionata la fruibilità dell’agevolazione ai fini Ires di cui all’articolo 25, comma 2, L. 133/1999) presuppone lo svolgimento già di attività qualificabili come commerciali e, quindi, la soggettività passiva dell’ente” è vero fino a un certo punto.
L’opzione per il regime ex L. 398/1991 infatti rappresenta un “pre-requisito” (la cui finalità rimane ad oggi ancora un mistero) che la norma prevede al fine di poter accedere all’agevolazione, ma non sempre (anzi in molti casi non è affatto così) corrisponde all’effettivo esercizio di attività commerciale da parte dell’associazione sportiva.
Sono infatti numerosi i casi di associazioni sportive che acquisiscono la partita iva al solo fine di poter optare “strumentalmente” per il citato regime agevolato e godere così della decommercializzazione dei proventi derivanti da attività commerciali connesse agli scopi istituzionali.
Anche per questi soggetti, quindi, è pacifico affermare che gli stessi svolgono certamente attività commerciale?
La situazione non è tanto diversa, se si pensa, a quella delle associazioni sportive che incassano, oltre alle quote associative, i soli proventi derivanti da attività commerciali connesse agli scopi istituzionali che vengono decommercializzati in base all’articolo 148, comma 3, Tuir.
Tale ultima agevolazione, come è noto, non richiede la preventiva assunzione della partita Iva da parte dell’associazione sportiva, che può quindi rimane in possesso del solo codice fiscale.
Le argomentazioni addotte dall’Agenzia per negare l’agevolazione ai fini Iva alle associazioni sportive che ritraggono proventi di cui all’articolo 25, comma 2, lett. a), L. 133/1999 meriterebbero, pertanto, ulteriori riflessioni da parte della stessa amministrazione finanziaria.
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