Stabile organizzazione: indicazioni operative dalla GdF – II° parte
di Gian Luca NiedduCon il precedente intervento abbiamo iniziato ad analizzare i chiarimenti forniti in materia di stabile organizzazione dalla circolare 1/2018 diffusa dalla Guardia di Finanza nel dicembre 2017 (“Manuale operativo in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali”), concentrando l’attenzione sulla c.d. “stabile organizzazione non dichiarata”.
Continuando poi ad esaminare le fattispecie che possono essere riscontrate a carico di gruppi multinazionali esteri in Italia, viene individuata dal documento in esame la stabile organizzazione “sotto dimensionata”.
La stabile organizzazione dichiarata ma “sotto dimensionata”
Si tratta del caso in cui il soggetto estero abbia dichiarato in Italia la presenza di una stabile organizzazione la quale, pur rappresentando un centro di imputazione di costi e di ricavi, viene tuttavia riconosciuta avere funzioni formalmente differenti (inferiori e meno complesse) rispetto a quanto paia essere a seguito di una più attenta verifica sostanziale. In altri termini, può accadere che al “ramo” italiano del soggetto estero, anche mediante un apparato contrattuale stilato ad hoc, vengano attribuite funzioni minime e, comunque, non in linea rispetto a quelle realmente svolte, al fine di opportunamente calibrare la determinazione del reddito da attribuire alla stessa branch.
Più precisamente, la circolare 1/2018 individua due situazioni distinte nelle quali una società estera, «attraverso un’alterazione di natura quantitativa e qualitativa», può sottodimensionare la presenza della propria stabile organizzazione dichiarata:
- prevedendo e regolando contrattualmente (inclusa una remunerazione teoricamente di mercato) solo alcune delle funzioni realmente svolte dalla branch;
- remunerando le funzioni svolte ad un valore inferiore rispetto a quello “di mercato” ovvero a quello che sarebbe stato praticato tra due soggetti indipendenti.
La stabile organizzazione all’estero di soggetti economici residenti
L’ulteriore caso analizzato dalla circolare 1/2018 è quello che riguarda la stabile organizzazione all’estero di soggetti economici italiani. È, infatti, possibile che la casa madre italiana, nel quadro di un processo di integrazione economica con un’entità estera del gruppo, giunga ad esercitare una pervasività gestionale, organizzativa, di coordinamento e di controllo, tale da lasciar ipotizzare che la società di diritto estero sia, in realtà, un “ramo” della casa madre italiana, “asservita” alle necessità aziendali della stessa, priva, di fatto, di autonomia economica e giuridica.
A titolo esemplificativo, quali elementi che possano far presumere un siffatto rapporto tra la società italiana e la controllata estera, la Guardia di Finanza elenca le seguenti circostanze:
- una serie di obblighi e di limitazioni che pongono la società estera in una posizione subordinata e servente rispetto all’impresa residente;
- l’inesistenza di rapporti di terzietà e di contrapposizione di interessi tra l’entità non residente e quella italiana (proprio come avviene, in concreto, tra casa madre e stabile organizzazione);
- il soggiacere di personale dipendente del soggetto economico straniero alle stringenti direttive di quello italiano;
- l’assenza di indipendenza di carattere organizzativo, economico e finanziario da parte della società straniera;
- l’operatività diretta della società italiana all’estero, che si avvale anche di personale dipendente della società nazionale;
- una coincidenza degli organi volitivi (soprattutto nelle posizioni preminenti) dei due soggetti economici.
Considerazioni conclusive
Alla luce di quanto fin qui esposto, emerge in tutta evidenza che le contestazioni afferenti la stabile organizzazione (occulta; sottodimensionata; all’estero di un soggetto economico italiano) devono necessariamente essere fondate su solidi riscontri fattuali la mancanza dei quali, viene detto, fa venire meno anche la sostenibilità logico-giuridica degli eventuali rilievi mossi.
Ecco, dunque, che il ripetuto richiamo agli elementi caratterizzanti la disciplina del transfer pricing (i.e., i cinque fattori di comparabilità), a cominciare da una chiara attribuzione delle funzioni alla presunta stabile occulta in Italia di un soggetto estero oppure, ad esempio, dalla individuazione delle funzioni compiute da un soggetto italiano che – in modo pervasivo – priva della necessaria autonomia economica e giuridica una consociata estera, rappresenta sicuramente il punto di partenza per una opportuna revisione di tutti quei modelli di business che possono presentare maggiori profili di criticità: tra questi possono rientrare, ad esempio, i modelli di agenzia e commissionaria come considerati dalla Action 7 del Progetto BEPS.
Nell’ambito di questa analisi, acquista – conseguentemente – rilievo la determinazione del reddito da attribuire alla branch. In proposito, è appena il caso di ricordare come dal 2015 – attraverso l’introduzione del nuovo articolo 152 Tuir – il reddito della stabile organizzazione debba essere determinato sulla base degli utili e delle perdite ad essa effettivamente riferibili secondo le disposizioni vigenti per i soggetti Ires. A tal fine, è stato altresì stabilito che, al fine di “isolare” i fatti gestionali attribuibili alla stabile organizzazione, i soggetti non residenti sono obbligati alla redazione di un apposito rendiconto economico e patrimoniale secondo i principi contabili previsti per i soggetti residenti con le medesime caratteristiche.
Coerentemente, recependo dunque anche da un punto di vista formale i principi Ocse già codificati nel luglio 2010 attraverso il “Report on attribution of profit to permanent establishment” (oggi, peraltro, in fase di aggiornamento), è stata codificata (articolo 152, comma 2, Tuir) la nozione di stabile organizzazione come entità funzionalmente separata, ovvero come impresa indipendente e distinta dalla casa madre, operante sul libero mercato alla stregua di un operatore terzo, con la conseguenza che il reddito attribuibile alla stabile organizzazione deve necessariamente derivare dall’analisi delle funzioni svolte, dei rischi assunti e dei beni utilizzati nel processo economico.
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