La stabile organizzazione è trasformabile in una società di capitali?
di Fabio LanduzziÈ possibile per un soggetto non residente che possiede in Italia una propria stabile organizzazione trasformarla, ex articolo 2498 e seguenti, cod. civ., ed ex articolo 170 del Tuir, in una società di capitali di diritto italiano?
La risposta, sotto il profilo civilistico e fiscale, è negativa: la stabile organizzazione non può essere “trasformata” in una società di diritto italiano per il semplice fatto che la stabile organizzazione non è un soggetto giuridico autonomo, oppure una entità legale separata, bensì essa è semplicemente una articolazione del soggetto giuridico estero operante nel territorio italiano. Pertanto, non si può “trasformare” la stabile organizzazione nel significato civilistico e fiscale del termine.
Ma questo non significa necessariamente che non si possa, per altra via, pervenire al risultato desiderato ovvero vestire in una forma societaria di diritto italiano l’attività facente capo alla stabile organizzazione. Il punto è che per fare questo occorre esplorare l’applicabilità di soluzioni diverse dalla “trasformazione”.
Ed una di queste soluzioni che la dottrina ha individuato consiste nel conferimento della stabile organizzazione in una società di capitali di diritto italiano; in questo caso il conferimento riguarderebbe:
- un conferente, quale è la società (casa madre) estera;
- un oggetto da conferire, quale sarebbe la stabile organizzazione, o più precisamente l’insieme degli elementi attivi e passivi che la compongono, ovvero il suo ramo di attività;
- una società conferitaria, la società esistente o di nuova costituzione.
Sotto il profilo fiscale, l’articolo 178, comma 1, lett. c), del Tuir, fa riferimento ai “conferimenti di aziende o di complessi aziendali relativi a singoli rami dell’impresa da uno ad altro dei soggetti indicati nella lettera a), residenti in Stati diversi della Comunità, sempre che uno dei due sia residente nel territorio dello Stato”. Ora, il fatto che la società conferitaria – nel caso qui in discussione – sia residente in Italia, che è appunto lo stesso Stato in cui si trova la stabile organizzazione, non è fattore impeditivo dell’operazione; questa interpretazione è stata sposata indirettamente anche dall’Agenzia delle Entrate nella risoluzione 110/E/2007.
C’è però un punto a cui porre attenzione. Il passaggio interpretativo chiave di questa soluzione fatta propria, come detto, anche dall’Amministrazione, sembrerebbe consistere in una sorta di affermata perfetta coincidenza fra la nozione di stabile organizzazione e quella di azienda (o ramo di azienda). Ma in verità questa coincidenza non è affatto perfetta, tanto che nella stessa Direttiva 2005/19/Cee si parla di “attivo collegato a una stabile organizzazione” il quale può – ma non necessariamente deve – costituire un “ramo di attività” definito dall’articolo 2 della citata Direttiva come il “complesso degli elementi attivi e passivi di un settore di una società che costituiscono, dal punto di vista organizzativo, un’azienda indipendente, cioè un complesso capace di funzionare con i propri mezzi”.
Ciò significa che se la stabile organizzazione non è dotata di un ramo di attività, nella suddetta nozione, ad essa non può essere applicata la disciplina del conferimento di azienda di cui agli articoli 176 e 178 del Tuir.
Se invece il ramo di attività esiste ed è conferito, allora l’operazione è soggetta alla disciplina prevista dall’articolo 176 del Tuir in quanto è disposo che dette norme “si applicano anche se il conferente o il conferitario è un soggetto non residente” a condizione che oggetto del conferimento siano “aziende situate nel territorio dello Stato”.
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