Le recenti sentenze della CTR Firenze n. 1396/14 e della CTR Milano n. 3467/14 offrono l’occasione per fare il punto della situazione sulle possibili cause di
illegittimità degli avvisi di accertamento non preceduti da PVC e su quelli non contenenti adeguate risposte alle osservazioni e richieste comunicate dal contribuente nei 60 giorni dalla notifica del PVC.
A tale proposito occorre prima di tutto ricordare che l’art. 24 della L. n. 4/29 così dispone:
“La violazione delle norme contenute nelle leggi finanziarie sono constatate mediante processo verbale”.
Tale disposizione, nonostante la datazione, è di sicura attualità in quanto chiarisce la
funzione svolta dal processo verbale di constatazione nell’ambito del procedimento tributario. Con esso i verbalizzanti sono infatti tenuti a compendiare le risultanze delle operazioni di controllo svolte nei confronti del contribuente, nel pieno rispetto del fondamentale principio di trasparenza nei rapporti tra Amministrazione finanziaria e contribuente.
Infatti, come sottolineato dalla Corte di Cassazione,
“il processo verbale di constatazione è atto che si inserisce nell’attività istruttoria espletata dall’Amministrazione finanziaria” dovendo dare conto delle prove che giustificano l’emissione dell’avviso di accertamento (o di rettifica) che conclude il procedimento di imposizione (Cassazione n. 4312/98).
La necessaria e obbligatoria scansione degli atti (prima il processo verbale di constatazione o comunque di chiusura delle operazioni e solo successivamente l’avviso di accertamento o di rettifica) ha poi assunto ancora maggiore rilevanza a seguito dell’adozione dello Statuto del contribuente (L. n. 212/00).
Ciò soprattutto con riferimento al
comma 7 dell’art. 12 dello Statuto, che distingue nettamente la fase del controllo (culminante con un processo verbale) dalla fase impositiva (culminante con l’avviso di accertamento o di rettifica).
Infatti, il richiamato comma 7 statuisce quanto segue:
“Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori”.
Come noto,
le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18184/13, si sono espresse sulle conseguenze della violazione di quanto disposto dall’art. 12, co. 7, della L. n. 212/00, enunciando il seguente principio di diritto:
“In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento … determina di per sé … la illegittimità dell’atto impositivo …”.
Peraltro, la richiamata sentenza cita, tra le righe, il
“rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni”.
Parrebbe, tuttavia, che tale richiamo sia funzionale solamente a indicare il termine di decorrenza dei 60 giorni nello specifico caso delle verifiche effettuate in azienda (per le quali è previsto il rilascio del processo verbale di constatazione) e che non possa quindi essere letto come una assunzione di applicazione dell’art. 12, co. 7, della L. 212/00, a garanzia dei soli contribuenti verificati in azienda.
In ogni caso, a seguito della richiamata sentenza delle S.U., risulta
ormai assodato che nel caso specifico delle verifiche condotte nei locali del contribuente l’Ufficio non può emettere l’avviso di accertamento prima che siano decorsi 60 giorni dal rilascio del PVC. Altrimenti l’avviso di accertamento è certamente illegittimo e quindi nullo o da annullare, fatto solo salvo il caso che il mancato rispetto del termine di 60 giorni sia dipeso da una motivata urgenza.
Non del tutto risolta è invece la questione delle verifiche condotte “a tavolino” in ufficio (e non nei locali del contribuente) sulla base della documentazione consegnata dal contribuente (a seguito di accesso nei suoi locali o a seguito di richiesta tramite questionario).
Sulla questione si è recentemente espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 13588/14, affermando “che il termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, non si applica in relazione agli atti impositivi che non siano stati emanati a seguito di accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali del contribuente”.
A motivazione del loro pronunciamento, i giudici di legittimità sostengono che la limitazione alle sole verifiche nei locali del contribuente della
“particolare garanzia del contraddittorio procedimentale costituita dall’imposizione di un termine dilatorio per l’emanazione dell’atto impositivo” trova giustificazione nel fatto che
“solo in tale ipotesi si verifica una invasione della sfera del contribuente, nei luoghi di sua pertinenza” e che solo in tale ipotesi è giustificata una tutela che tenda
“a bilanciare lo squilibrio tra contribuente e Amministrazione derivante dall’assoggettamento del primo ai poteri ispettivi della seconda”.
Parrebbe quindi che per i giudici della Cassazione lo scopo della norma dello Statuto del contribuente è, in buona sostanza, quello di risarcire il contribuente per il disturbo creato dalle verifiche presso i suoi locali tramite la concessione di “un termine dilatorio per l’emanazione dell’atto impositivo”.
Ma non è evidentemente questa la ratio della norma.
Infatti, come del resto evidenziato dalla stessa Corte di Cassazione nella sentenza sopra citata (rifacendosi alla sentenza delle Sezioni Unite n. 18184/13), il predetto termine è invece
“posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficacie esercizio della potestà impositiva”.
E non vi è alcun ragionevole motivo che possa giustificare delle garanzie e delle tutele minori per i contribuenti nei confronti dei quali è stata svolta una attività istruttoria interna (in Ufficio) rispetto a quelle assicurate ai contribuenti nei confronti dei quali è stata svolta una attività istruttoria esterna (presso il contribuente).
Ciò in quanto tutti i contribuenti, indipendentemente dal luogo di svolgimento dell’attività istruttoria, devono logicamente avere, per un irrinunciabile principio di uguaglianza, la medesima
“garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale”, costituendo tale contraddittorio
“primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficacie esercizio della potestà impositiva”.
Tale fondamentale principio è stato ribadito anche dalla CTR Firenze nella sentenza n. 1396/14, pronunciata successivamente al deposito della suddetta sentenza della Cassazione n. 13588/2014.
I giudici toscani hanno infatti affermato la illegittimità di un avviso di accertamento non preceduto dalla
“dovuta redazione e consegna del verbale di chiusura” di una verifica condotta in ufficio sulla base della documentazione consegnata dal contribuente, a motivazione del fatto che anche nel caso di una pretesa impositiva
“scaturita dall’esame di atti sottoposti all’amministrazione dallo stesso contribuente e da essa esaminati in ufficio” comunque
“a garanzia del contribuente … la attività di indagine e/o acquisizione documentale da parte erariale … avrebbe dovuto implicare come a chiusura dovesse essere redatto e consegnato il correlato verbale dando modo al contribuente di predisporre le sue osservazioni e controdeduzioni del caso entro i sessanta giorni previsti dall’art. 12 L. 212/2000 e di poi, e solo di poi salva motivata urgenza, si sarebbe potuto promanare l’accertamento”.
Una diversa questione, attinente sempre a quanto statuito dall’art. 12, co. 7, della L. 212/00, è poi quella dell’obbligo imposto all’Ufficio di valutare le osservazioni e richieste comunicate dal contribuente nei 60 giorni successivi il rilascio del processo verbale di chiusura delle operazioni di controllo.
Secondo un orientamento giurisprudenziale che si sta venendo a consolidare, la mancata valutazione delle osservazioni e richieste comunicate dal contribuente rende illegittimo (e quindi nullo o da annullare) l’avviso di accertamento (vedasi, tra le altre, le sentenze delle Cassazione n. 4624/08, della CTR Torino n. 13/12, della CTP Reggio Emilia n. 10/04/12 e della CTR Milano n. 103/13).
Oltretutto, sempre secondo il medesimo orientamento giurisprudenziale
, l’avviso di accertamento è illegittimo (e quindi nullo o da annullare) non solo se non dà alcuna notizia delle osservazioni e richieste comunicate dal contribuente ma anche quando, pur richiamandole, non riporta la dimostrazione di una adeguata valutazione da parte dell’Ufficio.
Di assoluto rilievo in tal senso è l’approfondita e motivata analisi condotta dalla CTR di Milano nella sentenza n. 3467/14, dove sono presi a base anche i fondamentali principi espressi dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 18184/13 sulla valenza dei diritti garantiti al contribuente dall’art. 12 della legge n. 212/00 e sulla conseguente illegittimità degli avvisi di accertamento emessi in violazione di detti diritti.
In estrema sintesi la CTR Milano, con la richiamata sentenza, ha correttamente affermato essere illegittimo e, quindi,
nullo o da annullare, un avviso di accertamento che si limiti a segnalare la presentazione di memorie ex art. 12 della legge n. 12/00, con una “formula di rito utilizzata per non confrontarsi nel merito delle numerose osservazioni del contribuente” riportate nella memoria, senza inoltre minimamente citare
“i documenti prodotti contestualmente” alla memoria.
Come rilevabile dalla sentenza, nel caso sottoposto all’esame della CTR Milano l’Agenzia delle Entrate, nel motivare l’avviso di accertamento riprendendo pedissequamente le considerazioni già svolte nel processo verbale di constatazione e confermandone in toto i rilievi, si era limitata a riprodurre la seguente formula:
“La società in data 26/11/2009 ha prodotto memorie al PVC, ex art. 12, c. 7, l. 212/2000, di cui l’Ufficio ha tenuto conto nell’elaborazione e stesura del presente atto”.
Il principio che si ricava da tutti i suddetti pronunciamenti giurisprudenziali è che la valutazione da parte dell’Ufficio (in sede di emanazione dell’avviso di accertamento) delle osservazioni e richieste comunicate da parte del contribuente rappresenta un momento fondamentale ai fini della ricostruzione della posizione fiscale del contribuente ed è altresì l’espressione dei principi di derivazione costituzionale di imparzialità, di collaborazione e di buon andamento della Pubblica Amministrazione, per i quali è onere della parte pubblica accertarsi con esattezza della situazione sulla quale va ad intervenire e compiere atti in modo ragionevole, evitando procedimenti sommari che vadano a discapito dell’efficacia e dell’economicità dell’agire pubblico.
Di conseguenza, è illegittimo un avviso di accertamento emanato senza tenere conto, o tenendone conto in termini del tutto generici, delle considerazioni e osservazioni fatte dal contribuente.