10 Settembre 2015

Stop agli studi di settore in aree depresse e in crisi

di Maurizio Tozzi – Comitato Scientifico Master Breve 365
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All’approssimarsi del termine di presentazione della dichiarazione non sono rare le casistiche in cui alcuni contribuenti ancora riflettono sull’impatto in termini di accertamento che potrebbe derivare da un’eventuale non congruità agli studi di settore. Il sistema dei ravvedimenti, anche “frazionati”, nel pagamento delle imposte ha di fatto dilatato le scelte finali, soprattutto in presenza di evidenti difficoltà finanziarie nel far fronte all’onere tributario. Adeguarsi o meno è un dilemma di non poco conto, sulla convinzione (forse errata), che il livello di congruità possa comunque essere di aiuto. Sul tema è possibile fissare due assunti di base:

  1. lo studio di settore, ormai è noto, rappresenta una presunzione semplice, non in grado di sostenere autonomamente un accertamento. In forza delle indicazioni della Cassazione a Sezioni Unite (sentenze 26635 e seguenti del dicembre 2009), è obbligatorio il contraddittorio preventivo pena l’impossibilità di procedere all’emissione dell’atto, fermo restando che il contribuente può comunque difendersi in sede tributaria, rimanendo al giudice l’apprezzamento della applicazione o meno dello standard al caso concreto analizzato;
  2. il livello di congruità intanto ha un senso se riferito a studi di settore veritieri. Laddove invece tale risultato dovesse essere il frutto di “manipolazioni” di vario genere, magari a scapito degli indici di coerenza, è bene rammentare che se un eventuale controllo teso a verificare i parametri indicati nel software Gerico dovesse far emergere dette “falsità”, la conseguenza ben poco felice è lo spianarsi della strada dell’accertamento induttivo puro, basato a questo punto sullo studio di settore rielaborato in funzione dei dati veritieri.

Al che la conclusione è la seguente: la congruità, anche a seguito di adeguamento in dichiarazione, sicuramente aiuta, ma deve essere “vera”. La non congruità, di contro, non deve spaventare, soprattutto se si hanno valide ragioni fattuali per dimostrare la non attinenza dello standard allo specifico caso concreto.

La seconda ipotesi è peraltro ricorrente in situazioni di crisi o depressione economica, come ripetuta giurisprudenza di merito e di legittimità non manca di sottolineare. Un primo importante spunto difensivo è offerto dalla sentenza n. 27166 del 4 dicembre 2013, emanata dalla Corte di Cassazione, che chiaramente afferma come sia provato l’onere difensivo del contribuente che giustifica il mancato adeguamento agli studi di settore documentando la grave crisi finanziaria che ha colpito la sua attività, con tanto di esecuzione forzata delle unità immobiliari in cui la stessa era svolta, a seguito del mancato pagamento delle rate di mutuo. Situazioni del genere sono sicuramente diffuse, magari caratterizzate anche dalla cessazione dell’attività o ancora dall’accumulo di debiti con creditori esterni o anche con lo stesso Stato per imposte e contributi non pagati e in corso di rateazione con Equitalia.

Sul tema è intervenuta recentemente la CTR di Potenza, con sentenza n. 420/2/15 depositata l’1 luglio 2015. Il caso analizzato è invero interessante, posto che l’amministrazione finanziaria, nel suo appello, aveva, da un lato, rimarcato la correttezza del proprio operato e la validità dell’accertamento basato sugli studi di settore essendo stato svolto un adeguato contraddittorio preliminare e, dall’altro, evidenziato come nel caso esaminato fossero sussistenti ulteriori parametri presuntivi atti a dimostrare la fondatezza della pretesa erariale, posto che il contribuente risultava non coerente a diversi indici, aveva raggiunto redditi “economicamente” ritenuti non validi negli ultimi anni e nemmeno manifestava una capacità reddituale in linea con il sostenimento del proprio nucleo familiare.

La Commissione lucana, dopo aver sottolineato che effettivamente non era passibile di illegittimità l’operato dell’Agenzia delle Entrate, ha subito precisato che la presenza di un idoneo contraddittorio se è vero che consente l’emanazione dell’accertamento, è altrettanto vero che non sancisce l’insindacabilità delle valutazioni del fisco, proprio come ripetutamente confermato dalla Corte di Cassazione secondo cui, come detto, il contribuente può comunque difendersi in sede contenziosa e spetta pur sempre all’organo giudicante valutare se lo standard sia o meno applicabile nel caso specifico.

Nell’ipotesi sottoposta al vaglio della CTR Potenza è emersa soprattutto la situazione di crisi e difficoltà del contribuente, peraltro dando risalto alla localizzazione dell’attività svolta, tale da non consentire di definire quale “antieconomica” la gestione dell’attività. In particolare “(…) tale argomentazione (ossia ritenere l’antieconomicità una possibile spia di occultamento dei ricavi) non può avere una validità pregnante in un caso come quello in esame, in cui l’attività d’impresa è stata espletata in un modesto ed arretrato comune dell’entroterra lucano (…) in un prefabbricato acquistato con i contributi ottenuti per i danni del sisma (…) e con macchinari non di ultima generazione (..)”.

In termini pratici è ribadito che lo standard statistico deve essere sempre “calato” nella realtà del contribuente; la vita modesta di questi, l’utilizzo di mezzi obsoleti, l’attività svolta in condizioni di marginalità (vale a dire in luoghi dell’entroterra e magari al solo fine di giungere al traguardo pensionistico, circostanze sottolineate anche dalla circolare n. 38 del 2007), sono tutti fattori esimenti che non consentono l’accertamento.

Si tratta di un piccolo sospiro di sollievo per chi in un periodo di crisi come quello attuale ha difficoltà ad adeguarsi: l’importante è avere valide giustificazioni per la disapplicazione degli standard. Se ciò si verifica, la non congruità non mette troppa paura.