Stop ai depositi Iva virtuali, via libera al reverse charge
di Francesco Greggio
Con la sentenza della corte di Giustizia del 17 Luglio 2014 Causa C-272/13, viene data un’importante chiave di lettura all’articolo 16, paragrafo 1, della sesta direttiva 77/388/CEE. In particolare l’articolo in commento deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa nazionale che subordini la concessione dell’esenzione dal pagamento dell’IVA all’importazione, alla condizione che le merci importate e destinate a un deposito fiscale ai fini di tale imposta siano fisicamente introdotte nel medesimo.
Nella fattispecie una società, soggetto passivo d’imposta residente, importava nel territorio dello Stato delle merci da un paese terzo, e sulla dichiarazione doganale veniva indicata la loro destinazione al deposito fiscale ai fini dell’Iva. Di conseguenza alla data della suddetta operazione non è stato richiesto alcun versamento dell’Iva all’importazione.
Le merci hanno transitato nel deposito fiscale virtualmente e non fisicamente mediante l’iscrizione nel registro di magazzino in ingresso e in uscita. Al momento della relativa estrazione dal deposito la società ha assolto l’Iva mediante il meccanismo dell’inversione contabile.
Come è noto i depositi Iva, disciplinati dall’art. 50-bis del d.l. 331/93, sono un luogo fisico ed un regime fiscale al tempo stesso. Il loro utilizzo consente agli operatori di effettuare in regime di sospensione dell’imposta le transazioni commerciali aventi ad oggetto i beni depositati.
Il regime sospensivo cessa al momento della fuoriuscita dei beni dal deposito per la loro utilizzazione o commercializzazione nel territorio dello Stato. L’estrazione dei beni, ai detti fini, secondo il disposto del comma 6 dell’art.50 bis d.l. 331/93, può essere effettuata solo da soggetti passivi d’imposta in Italia (operatore residente, stabile organizzazione di un soggetto estero ovvero il rappresentante fiscale di un soggetto non residente) e comporta il pagamento dell’Iva.
Obbligato al pagamento dell’Iva, se i beni vengono immessi nel mercato domestico, è il soggetto economico che procede all’estrazione dei beni e provvede ad assolvere l’imposta attraverso il meccanismo dell’inversione contabile (cd Reverse Charge) previsto dell’art. 17 c.2 del Dpr 633/72. Quindi, il soggetto passivo deve emettere autofattura o integra il documento d’acquisto emesso senza applicazione dell’imposta dal cedente nazionale, comunitario o extracomunitario.
A seguito di un controllo, l’Agenzia delle Dogane di Livorno ha ritenuto che non fossero rispettati i presupposti per la posticipazione del versamento dell’Iva all’importazione, in quanto le merci non erano state fisicamente introdotte nel deposito fiscale, e richiedeva alla società l’Iva dovuta all’importazione oltre alla sanzione del 30% ai sensi dell’art.13 del D.L.n.471/97.
Successivamente la società impugnava la posizione dell’Agenzia delle Dogane sostenendo che, in vari Stati membri, l’introduzione virtuale delle merci in un deposito fiscale è legale, e che non vi era stata alcune sottrazione dell’Iva, poiché, al momento dell’immissione al consumo, si sarebbe provveduto ad un’autofatturazione dell’acquisto tramite importazione e al pagamento dell’Iva in tal modo da regolarizzarla.
La questione, dopo il ricorso in appello alla Commissione Tributaria Regionale per la Toscana è arrivata dinanzi alla Corte di Giustizia UE.
Nel disposto la Corte ha precisato che agli Stati Membri è riconosciuta la facoltà di adottare provvedimenti particolari per concedere il beneficio dell’esenzione prevista dall’art. 16, paragrafo 1, VI Direttiva CEE, per cui in linea di principio spetta agli stessi determinare le formalità che il soggetto passivo deve adempiere al fine di poter beneficiare dell’esenzione del pagamento dell’Iva sull’importazione.
In virtù di tale disposizione il legislatore italiano ha disposto che per poter beneficiare dell’esenzione del pagamento dell’Iva all’importazione, il soggetto passivo ha l’obbligo di introdurla materialmente e non virtualmente nel deposito stesso, presumendo che la presenza fisica della merce importata all’interno del deposito garantisca la successiva riscossione dell’imposta.
Tuttavia, nella sentenza della Corte di Giustizia UE si evince che, l’inosservanza dell’obbligo di introdurre fisicamente la merce all’interno del deposito fiscale, non ha comportato il mancato pagamento dell’Iva all’importazione, poiché la stessa è stata regolarizzata dal soggetto passivo con il meccanismo dell’inversione contabile. Quindi, essendo l’imposta dovuta al momento dell’importazione, il successivo assolvimento dell’imposta da parte della società con il meccanismo dell’inversione contabile costituisce un pagamento tardivo Iva, che in mancanza di un tentativo di frode e di danno al bilancio dello Stato, costituisce una violazione formale che non può mettere in discussione il diritto alla detrazione. Infatti, la disposizione con la quale l’Agenzia delle Dogane assoggettava la società ad una sanzione al 30% e al nuovo versamento dell’Iva, equivale sostanzialmente a privare il soggetto passivo del suo diritto di detrazione.