13 Ottobre 2014

Stop al redditometro riferito all’atto simulato

di Maurizio Tozzi – Comitato Scientifico Master Breve 365
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La Corte di Cassazione, nella sentenza n.
21442 depositata il 10 ottobre 2014, ribadisce due importanti principi, uno di carattere  generale nel tema  del contenzioso tributario e  l’altro specifico per il
redditometro, respingendo l’impugnazione dell’Amministrazione finanziaria.
I fatti riguardano un contribuente accertato in relazione ad un presunto incremento patrimoniale e vertono su due questioni:
  1. la riproposizione del ricorso introduttivo, nel rispetto dei termini di impugnativa;
  2. la difesa di merito avverso l’accertamento, fondata sulla dimostrazione che si fosse in presenza di un atto meramente simulato. In particolare, in relazione alle operazioni contestate attinenti versamenti effettuati per aumento di capitale di società partecipate, il contribuente ha dimostrato l’inesistenza degli stessi, essendosi in presenza di “fattispecie artatamente configurate al solo fine di accedere a contribuzioni erariali”, con la conseguenza che “gli aumenti di capitale erano privi di reale consistenza e di apprezzabili elementi reddituali non dichiarati”. Di fatto il contribuente ha impostato la tesi difensiva nel seguente modo: sono stati commessi degli illeciti rilevanti in altra sede (finto versamento per ottenere contributi), ma sul piano reddituale l’evento non è configurato.
La Corte di Cassazione ha respinto tutte le doglianze dell’Amministrazione Finanziaria.
Quanto alla riproposizione del ricorso, nella sentenza in commento è evidenziato che
non è assolutamente in discussione il principio in forza del quale, nell’ambito del processo tributario, la produzione di un valido ricorso “
non consuma il potere di impugnazione dell’atto”. Pertanto, entro i termini processuali, il medesimo contribuente può validamente produrre un nuovo ricorso, completo in tutti i suoi elementi ex articolo 18 del D.Lgs. 546/92 e contenente anche
motivi ulteriori rispetto al precedente. La Corte inoltre sottolinea che, sebbene l’inammissibilità del ricorso introduttivo, nell’ambito del processo tributario, possa essere rilevata di Ufficio in ogni grado di giudizio, non è possibile eccepirla per la prima volta in sede di legittimità quando attiene a circostanze di fatto i cui accertamenti
sono riservati al giudice di merito, come nell’ipotesi di tempestività del ricorso.
Relativamente al redditometro e alla connessa prova prodotta dal contribuente, la Corte di Cassazione è tranciante nei confronti dell’Amministrazione ricorrente. Anzitutto sottolinea che è estraneo all’ambito tributario la circostanza che sul fronte difensivo sia stata utilizzata una dichiarazione resa in sede penale. Peraltro sul tema si segnala la sentenza n.
336/32/13 della CTR di Napoli, emessa in relazione ad un accertamento bancario e sempre riferita ad un contribuente avente procedimenti amministrativi e penali, in cui si evidenzia che “
Ciò che costituisce certamente macroscopica illiceità amministrativa e disciplinare, verosimile sintomo di illiceità penali e contabili (da dimostrare nelle rispettive sedi processuali), …… non può consentire, se non dimostrato analiticamente, che nel crogiuolo unico di pubblico e privato l’aritmetica prenda il posto dell’analisi”. Tradotto in termini pratici, la circostanza che il contribuente abbia commesso illeciti di altro genere
non rileva ai fini tributari, dove deve solo stabilirsi se una fattispecie reddituale si è manifestata o meno, a prescindere da ogni ulteriore considerazione. Pertanto, anche in presenza di illeciti, come nel caso analizzato dalla Corte di Cassazione, gli stessi saranno decisi nelle sedi competenti ma di certo non possono influenzare la valutazione degli accadimenti reddituali: se a tali fini, proprio in considerazione dell’illecito commesso (atto simulato per ottenere contributi), emerge che l’evento reddituale non sussiste,
nessun accertamento può essere esperito.
Ammesso dunque il richiamo di elementi giustificativi derivanti da presunti illeciti, la suprema Corte si esprime in ordine all’atto simulato, ricordando come sul fronte del redditometro la prova difensiva è soddisfatta, tra l’altro, anche mediante la dimostrazione che
il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore. Tra le prove contrarie ammesse vi è anche la dimostrazione che il versamento degli importi contestati
non è avvenuto e che pertanto “
non sussiste una reale disponibilità economica, essendo questa meramente apparente, per avere l’atto in questione natura simulata”. D’altra parte questa è la sola conclusione ammissibile e
costituzionalmente orientata ex articolo 53, in forza del quale è necessario attribuire al contribuente il reale reddito disponibile.
È auspicabile che tale principio immanente all’ordinamento tributario prenda sempre più consistenza sia nella valutazione degli Uffici accertatori che in seno alle Commissioni Tributarie,
con un approccio sostanziale teso ad evitare accertamenti assolutamente presuntivi e basati su meri aspetti formali.