4 Dicembre 2013

Stop dell’UE alla doppia “non imposizione”

di Adriana Padula
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La Commissione europea è al lavoro per contrastare fenomeni evasivi realizzati su scala comunitaria da imprese transfrontaliere, che realizzano indebiti risparmi di imposta sfruttando le asimmetrie presenti tra i diversi ordinamenti fiscali nazionali.

Sotto il mirino della Commissione, in particolare, sono i finanziamento “ibridi” che si atteggiano per alcuni aspetti come strumenti di debito, ma che conservano elementi del capitale proprio. Di talché, in alcune legislazioni sono fiscalmente qualificati come obbligazioni aventi causa finanziaria, in altre sono assimilati a mezzi di partecipazione al capitale di rischio e/o derivati. Sotto il profilo sostanziale, vi rientrano, tra gli altri, i prestiti a lungo termine remunerati con utili dell’emittente, le azioni privilegiate convertibili, e le obbligazioni convertibili in azioni.

L’ambito soggettivo di applicazione è circoscritto ai gruppi multinazionali, costituiti da un ente societario con domicilio fiscale in uno Stato Membro che detenga direttamente una partecipazione superiore al 10% del capitale sociale di altro soggetto giuridico localizzato in diverso Stato della comunità. Nei confronti di tali soggetti, opera a livello comunitario la direttiva 2011/96/UE, conosciuta come direttiva madre-figlia (Parent-Subsidiary Directive), voluta per evitare fenomeni di doppia imposizione internazionale di un unico flusso di dividendi. Nelle intenzioni del legislatore comunitario vi era quello di evitare che gli utili distribuiti dalla società partecipata venissero assoggettati a ritenuta d’acconto e, tuttavia, tassati nel luogo di stabilimento della società madre. Per tali ragioni, la direttiva dispone che gli utili percepiti dalla società madre vengano esentati da imposta ovvero, in alternativa, venga ammessa in deduzione la frazione dell’imposta pagata dalla società figlia a fronte del medesimo flusso di dividendi. Lo Stato della società figlia, in alternativa, esenterebbe da ritenuta alla fonte gli utili distribuiti.

E’ di tutta evidenza che un siffatto meccanismo potrebbe condurre alcuni gruppi ad operare arbitraggi fiscali sfruttando le disarmoniche legislazioni nazionali. L’assenza di uniformità di trattamento dei finanziamenti ibridi, infatti, apre a fenomeni di doppia “non imposizione”. Nel caso di specie, le rimesse su tali finanziamento possono essere ammesse in deduzione nello Stato Membro della filiale e allo stesso tempo esentate da tassazione nel luogo di stabilimento dell’ente percettore.

La proposta formulata dalla Commissione lo scorso 25 novembre, si sostanzia nella revisione della clausola anti-abuso attualmente contenuta della direttiva madre-figlia e considerata inadeguata e eccessivamente farraginosa per affrontare risolutivamente condotte evasive di tale portata. L’approccio scelto è stato, quindi, quello di negare la possibilità alla società madre di esentare da tassazione i dividendi percepiti, nella misura in cui tali somme vengano ammesse in deduzione nello Stato di residenza della filiale. In termini diversi, sarebbe fatto obbligo alle imprese transfrontaliere di assoggettare a tassazione i flussi di utili in entrata se portati in deduzione in altro Stato della comunità. Tale approccio riflette il principio di proporzionalità elaborato dalla Corte di Giustizia Europea e recepisce gli indirizzi generali della Raccomandazione sulla pianificazione fiscale aggressiva, contenuta nell’Action plan contro frode e evasione fiscale, adottato dalla Commissione il 6 dicembre 2012.

Tali schemi evasivi erano peraltro già stati oggetto di un rapporto pubblicato dall’OCSE, Hybrid Mismach Agreements: Tax Policy and Compliance Issues, dedicato alla pianificazione fiscale aggressiva realizzata per il tramite dei strumenti finanziari e strutture “ibride”.

I 28 paesi della Comunità sono ora chiamati ad esprimersi sulla proposta di revisione licenziata dalla Commissione europea, entro il 31 dicembre 2014.

Negli anni più recenti, la complessità e gli intrecci delle transazioni internazioni tra operatori economici, soprattutto di maggiori dimensioni, richiedono alla legislazione fiscale continui e pregnanti sforzi di adeguamento delle disposizioni che regolamentano le operazioni transfrontaliere. Disegni artificiosi realizzati per erodere base imponibile, costituiscono un ostacolo al principio base cui si ispira la comunità europea, ovvero la creazione di un mercato interno regolato da concorrenza e da efficienza nell’allocazione delle risorse, inficiano il presupposto di equità di trattamento tra imprese multinazionali e piccole medie imprese operanti sul territorio. E’ ancora inconfutabile che la creazione di una base legislativa comune in materia fiscale sia stato considerato da più parti limitativo della sovranità dei singoli Stati. La presunzione di indipendenza delle legislazioni nazionali, come osservato dalla stessa Commissione, conduce a effetti depauperativi sempre più consistenti che possono trovare risoluzione solo nel consolidamento di una prassi comunitaria e nella implementazione di una piattaforma legislativa integrata.