Studi di settore, start up e scostamenti minimali non consentono l’accertamento
di Maurizio Tozzi – Comitato Scientifico Master Breve 365
Gli studi di settore, è noto, rappresentano una presunzione semplice, alla luce della consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione. È altrettanto noto che la medesima Suprema Corte ha più volte avuto modo di sottolineare come:
- Il contraddittorio preventivo è obbligatorio;
- Il contribuente ha tutto l’interesse a partecipare a tale contraddittorio, per rappresentare le ragioni del mancato scostamento;
- In caso di mancata partecipazione, il contribuente non è impedito alla difesa nella successiva fase del contenzioso; ovviamente, da parte sua l’Ufficio, in assenza di riscontri al contraddittorio preventivo, potrà essere legittimato all’emissione dell’avviso di accertamento, ferma restando la necessità del vaglio dell’applicazione al caso concreto dello standard;
- Nel caso di partecipazione al contraddittorio, con corredo di adeguate motivazioni dello scostamento da parte del contribuente, è fatto obbligo all’Ufficio accertatore di motivare adeguatamente circa le ragioni che portano a ritenere attendibile lo studio di settore e a non accogliere le motivazioni difensive di parte.
Riassunti in tal modo gli aspetti salienti della giurisprudenza in materia di studi di settore, è evidente che l’elemento che emerge con forza è la necessità, da parte del contribuente, di illustrare in maniera compiuta le ragioni del mancato adeguamento. In tale direzione due sentenze di merito, una della CTR Liguria e l’altra della CTP di Imperia, seppur riferite a casistiche di applicazione “acritica” degli studi di settore, denotano come sia possibile costruire linee difensive assolutamente valide.
La CTR Liguria, sezione 2, con sentenza n. 114 depositata il 13 novembre 2013, ha sottolineato come gli studi di settore siano delle presunzioni semplici e che in presenza di contenuti scostamenti non sia possibile l’applicazione degli standard, che devono sempre essere adeguati “(….) alla specifica e concreta realtà economica del contribuente”. Questi i punti fondamentali della sentenza richiamata:
- la regolare tenuta della contabilità, pur non avendo valore probatorio assoluto, aiuta l’attendibilità delle tesi difensive;
- lo scostamento minimo (nel caso, del 6%), delle percentuali di ricarico applicate, non legittima l’avviso di accertamento “(….) dovendosi dimostrare un tasso di abnormità e di irragionevolezza delle difformità rilevate , tale da inficiare l’attendibilità complessiva della dichiarazione”;
- la media di settore non può essere applicata in maniera indiscriminata, essendo un mero indizio che deve essere confortato da elementi concreti relativi alla realtà aziendale accertata.
La sentenza della CTP di Isernia, n. 160/1/13, depositata il 14 maggio 2013, è invece sicuramente ben motivata e articolata, rappresentando in maniera compiuta l’accaduto e soprattutto la completa difesa del contribuente e le assenze motivazionali dell’accertamento dell’amministrazione finanziaria. In realtà, il solo aspetto non convincente di detta sentenza è la decisione di compensare le spese processuali, posto che in tutto il deciso non sono mancate un bel po’ di “bacchettate” all’Ufficio accertatore. In estrema sintesi, i giudici molisani sottolineano come la contribuente, nel caso esaminato, si sia adeguatamente difesa, dimostrando in particolare tutta una serie di elementi in grado di giustificare il mancato adeguamento, in primis la fase di start-up con conseguente necessità di praticare sconti cospicui per essere competitivi. Inoltre, nell’anno di accertamento per esigenze familiari, consistenti nelle cure del proprio bimbo, era stata spesso assente dall’attività commerciale.
Da parte sua l’Ufficio accertatore ha tentato una difesa “patetica”, addirittura affermando che lo studio di settore rappresenta una presunzione legale relativa: francamente, dopo l’evoluzione della giurisprudenza della Corte di Cassazione a SS.UU. alla fine del 2009 e gli univoci chiarimenti di prassi a livello centrale, appare incomprensibile che in sede di costituzione in giudizio, avvenuta nel 2011, ancora si sia avanzata una simile tesi difensiva. Fatto è che l’organo giudicante ha immediatamente preso le distanze da tale affermazione, peraltro sottolineando come l’Ufficio nel caso in questione si sia limitato alla semplice e asettica applicazione dello studio di settore, senza confortare il maggior reddito con elementi riferiti all’impresa accertata e di fatto sottraendosi “(…) all’obbligo di avvalorare con idonea documentazione probatoria il proprio assunto (…) trincerandosi dietro il perseverante convincimento che il semplice ricorso agli studi fosse sufficiente ope legis a soddisfare l’onere della prova (…)”. Già questa parte della motivazione sembra essere sufficiente a “distruggere” l’accertamento, ma la sentenza continua evidenziando come “L’ufficio non ha neanche dimostrato di aver considerato le eccezioni poste dalla ricorrente nel gravame (…)”; ed ancora: “(…) L’Ufficio ha omesso di motivare le ragioni per cui quegli elementi (le tesi difensive di parte) sono stati solo in parte valutati e in che misura abbiano inciso sul risultato finale (…)”. Al che è evidente che chiunque avrebbe “scommesso” sulla condanna alle spese, che invece non è arrivata. Accantonato tale particolare, resta comunque chiaro il messaggio della sentenza: se la parte dimostra in maniera adeguata le motivazioni del risultato reddituale raggiunto e dello scostamento rispetto allo standard, l’onere probatorio è tutto dell’Ufficio, che deve appieno documentare circa le valutazioni che portano a disattendere la difesa di parte e a valorizzare il risultato di Gerico.