Successione di quote societarie: base imponibile rigida
di Alessandro CarlesimoIl prelievo fiscale in sede trasmissione dell’attivo ereditario del de cuius è regolato da specifiche norme che sono racchiuse nel Testo Unico di cui al D. Lgs. 346/1990 e, in particolare, con riferimento al calcolo della base imponibile, agli articoli 14 e ss..
Le disposizioni stabiliscono i criteri da adottare ai fini della determinazione del valore dell’asse ereditario da assumere ai fini dell’applicazione dell’imposta di successione.
Tali regole, peraltro, trovano applicazione anche nell’ambito della tassazione di atti donativi, stante l’espresso richiamo dell’articolo 56, comma 4, D.Lgs. 346/1990.
Avuto riguardo alle quote societarie, la legge differenzia la disciplina a seconda della natura della società partecipata, distinguendo tra società con titoli quotati in mercati regolamentati e società con titoli non quotati.
Le quote societarie riprodotte da titoli negoziati sono determinate facendo riferimento al valore di mercato desunto dalla media dei prezzi dell’ultimo trimestre anteriore all’apertura della successione, maggiorata dei dietimi o degli interessi successivamente maturati.
La disciplina delle quote o azioni di società non quotate ancora il relativo valore fiscale al dato giuridico formale corrispondente al valore proporzionale del patrimonio netto risultante dall’ultimo bilancio approvato, ovvero, in mancanza, dall’ultimo inventario regolarmente redatto e vidimato, tenendo conto dei mutamenti sopravvenuti alla data di apertura della successione.
In entrambe le fattispecie, il legislatore rifugge da soluzioni discrezionali, individuando un criterio quanto più oggettivo e uniforme, anche al fine di prevenire valutazioni arbitrarie dell’imponibile effettuate in sede di attribuzione attivo ereditario mortis causa o animus donandi.
Talvolta il rigido criterio contabile-patrimoniale valido per le partecipazioni in società non quotate è stato messo in discussione in alcune dispute. Il punto nodale delle contese ruotava intorno all’eventuale possibilità di derogare al sistema di derivazione della base imponibile dal bilancio approvato, procedendo a calcoli basati sull’ autonoma valutazione del valore complessivo dei beni e dei diritti in capo alla società.
Tuttavia, secondo il prevalente orientamento della Suprema Corte, il dato del patrimonio netto risultante dal bilancio è vincolante per l’Amministrazione finanziaria e per il contribuente, salvo che non si provi l’inattendibilità della contabilità aziendale (Cassazione, n. 6915/2006, n. 5282/2003, n. 4535/2009, n. 2925/2015).
Più precisamente, nella sentenza n. 25007/2015, la Corte di Cassazione conclude che “il criterio di valutazione ivi stabilito, così come d’altronde quelli previsti nelle distinte norme del D.Lgs. n. 346 del 1990, onde determinare l’attivo ereditario, è un criterio normativo che non ammette correttivi foranei non altrettanto normativamente supportati. La base imponibile relativamente ad azioni, titoli e quote sociali non può essere determinata, ove risultino valori di bilancio regolarmente approvati, assumendo come criterio di computo distinte risultanze tratte da documenti diversi.”
Ad un’attenta analisi, l’inderogabilità norma è stata ab origine legittimata anche dalla Corte Costituzionale che ha riconosciuto la possibilità all’Amministrazione finanziaria, al più, di contestare il mancato rispetto dei criteri legali di redazione del bilancio o dell’inventario (Corte Costituzionale, ordinanza n. 250/2002).
Da ultimo, una recente pronuncia della Corte di Cassazione (Cassazione, n. 11467/2022) ha confermato la prevalenza del dato relativo al patrimonio netto pro-quota risultante dall’ultimo bilancio depositato su altre risultanze eventualmente prodotte (valutazioni/perizie ecc.), ribadendo che “la norma impone di verificare se il patrimonio netto della società risulti dalla redazione dell’ultimo bilancio approvato o dall’ultimo inventario regolarmente redatto e vidimato, poiché, in coerenza con l’indirizzo legislativo teso a uniformare, almeno tendenzialmente, i dati fiscalmente rilevanti con quelli contabili della società, e a trarre i primi dai secondi, il valore del patrimonio netto risultante dal bilancio approvato è vincolante per la parte e per l’amministrazione finanziaria, cui è preclusa un’autonoma valutazione del valore complessivo dei beni e dei diritti della società al netto delle passività”.
Dall’altra parte, la sentenza ha avallato la possibilità, per il contribuente e per l’amministrazione finanziaria, di fornire la prova contraria al criterio contabile dato dal bilancio, nelle seguenti ipotesi:
- verificarsi di eventi sopravvenuti tra la data di approvazione del bilancio e l’apertura della successione, suscettibili di modificare il valore del patrimonio netto;
- presenza di elementi che denotino l’inattendibilità della contabilità aziendale (del resto, si fa notare che lo stesso articolo 34 del Testo Unico autorizza gli uffici verificatori a ricostruire la base imponibile secondo gli ordinari strumenti di accertamento).
In questi casi, sembrerebbe dunque possibile apportare delle rettifiche alla base imponibile desunta dal patrimonio netto dell’ultimo bilancio. Tuttavia, molto generiche restano le indicazioni circa le movimentazioni che avrebbero rilievo nell’attualizzazione delle poste contabili. Mentre infatti sembrerebbe esser fuor dubbio la possibilità di tener conto di variazioni con effetto diretto sul patrimonio netto (es. distribuzione dividendi, aumenti di capitale a pagamento ecc.), non è ancora chiaro se sia possibile, ad esempio, accertare utili e perdite provvisorie derivanti da situazioni contabili posteriori all’ultimo bilancio e anteriori al momento della successione ereditaria.