Sugli strumenti di correzione pro contribuente
di Massimiliano TasiniLa giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, in questi ultimi anni, si è in più occasioni soffermata sui presupposti ed sull’operatività dell’articolo 2, comma 8 bis, D.P.R. 322/1998, anche in relazione a quanto disposto dall’articolo 38 D.P.R. 602/1973.
Si ricorda, a tal proposito, che la prima richiamata disposizione consente al contribuente di rettificare a proprio favore una dichiarazione presentata in passato, così riducendo le imposte dovute, mentre la seconda consente allo stesso di richiedere a rimborso imposte (dirette) versate in presenza di errori o duplicazioni.
La sentenza Cassazione n. 373/2016 ha affermato che il termine di un anno, fissato dal citato articolo 2 D.P.R. 322/1998 – anteriormente alle recenti modifiche -, per dare corso alla rettifica pro contribuente, non interferisce sull’effettivo diritto al rimborso, nè sulla facoltà del contribuente di emendare i propri errori, restando correlata al rispetto di tale termine temporale la sola possibilità di portare in compensazione il credito eventualmente risultante dalla dichiarazione dell’anno precedente.
Secondo Cassazione n. 20415/2014, il termine di un anno è insuperabile, restando ferma la emendabilità (anche) in sede contenziosa degli errori meramente formali che abbiano determinato l’indicazione di un maggior reddito, o comunque di un maggior debito di imposta.
La Cassazione n. 21740/2015 sottolinea che il termine di un anno non interferisce sul diritto al rimborso di cui all’articolo 38 D.P.R. 602/1973, nè sul diritto del contribuente di emendare la dichiarazione a proprio favore in sede contenziosa per contestare una pretesa tributaria.
Sembra potersi desumere che i due procedimenti, rettifica a favore e rimborso, corrano su due binari paralleli, tantochè Cassazione n. 5373/2012 già rimarcava che, se da un lato il termine di un anno non lede(va) gli articoli 3 e 53 Cost. – non potendosi ritenere tale termine eccessivamente oneroso -, dall’altro la rettificativa non è incompatibile con il procedimento di rimborso, posto che l’articolo 38 D.P.R. 602/1973 – che riguarda le ipotesi di errore materiale, duplicazione e di insussistenza totale o parziale dell’obbligazione tributaria – non implica il previo svolgimento di un’attività di controllo e di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria.
La tesi della perentorietà del termine di un anno di cui sopra è stata definitivamente confermata da Cassazione SS.UU. n. 13376/2016, con la quale è stata confermata la possibilità di presentare l’istanza di rimborso ex articolo 38 D.P.R. 602/1973 nei quarantotto mesi dal versamento, nonchè quella di opporsi, in sede contenziosa, alla eventuale maggior pretesa avanzata dall’Amministrazione.
L’opposizione in sede contenziosa, come anche rimarcato dalla pregevole sentenza C.T.R. Roma n. 32/2017, è indipendente dalle modalità e dai termini della dichiarazione integrativa così come dell’istanza di rimborso: tale procedimento è volto a far prevalere la sostanza sulla forma, elidendo gli effetti di errori di diritto come anche di fatto commessi dal contribuente nella redazione della dichiarazione, incidenti sulla quantificazione dell’obbligazione tributaria.
Sulla scorta di tali considerazioni, le novità apportate dall’articolo 5 D.L. 193/2016, convertito nella L. 225/2016, che, nel confermare il principio di emendabilità delle dichiarazioni presentate, l’ha consentita anche oltre la dichiarazione successiva – con il “contrappeso” dell’allungamento dei termini di controllo ed accertamento a disposizione dell’Agenzia delle Entrate, seppur limitatamente agli elementi oggetto di integrazione della dichiarazione -, non sembra in alcun modo limitare le altre possibilità attribuite dal legislatore, ed elaborate dalla giurisprudenza, per il contribuente che si trovi esposto a pagare somme illegittimamente pretese dal fisco.