Sul regime Iva della caparra confirmatoria
di Lucia Recchioni - Comitato Scientifico Master Breve 365Con l’ordinanza n. 17868, depositata ieri, 23 giugno, la Corte di Cassazione ha accolto la tesi prospettata dall’Agenzia delle entrate, secondo la quale, se “nei contratti preliminari era stato espressamente previsto che le somme corrisposte, seppure versate a titolo di caparra confirmatoria, sarebbero state imputate quali acconti sul prezzo finale al momento della stipula del definitivo” si rende necessario analizzare la volontà delle parti, e, in questo senso, la circostanza che al preliminare sia seguita la stipula del contratto definitivo induce ad accreditare la tesi della imputazione delle somme ad acconto del prezzo.
La pronuncia non può non sollevare perplessità.
Il caso riguarda una S.r.l., esercente attività di costruzione di edifici, raggiunta da due avvisi di irrogazione delle sanzioni per non avere emesso le fatture e non aver versato l’Iva sugli importi incassati dai promissari acquirenti in forza di contratti preliminari di vendita di immobili.
Ad avviso dell’Agenzia delle entrate, infatti, i suddetti importi, seppur qualificati come caparre confirmatorie, dovevano essere considerati acconti sui corrispettivi pattuiti ed erano dunque soggetti a fatturazione.
La società proponeva ricorso e risultava vittoriosa in secondo grado.
La CTR Puglia aveva infatti ritenuto che i pagamenti, essendo stati registrati in contabilità a titolo di caparra confirmatoria non dovevano essere oggetto di fatturazione, non sussistendo il presupposto impositivo.
La Corte di Cassazione, investita dunque della questione a seguito del ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate, ha accolto le doglianze di quest’ultima ritenendo errate le conclusioni raggiunte dai giudici della CTR nel dare esclusivo risalto alla registrazione contabile, dovendo invece individuare la natura delle somme corrisposte sulla base del comportamento complessivo, anche successivo alla conclusione del contratto, delle parti.
Richiamando la precedente ordinanza n. 10306 del 20.05.2015 la Corte di Cassazione ha quindi ricordato che i contratti preliminari determinano l’insorgere dell’obbligo di fare, ovvero della prestazione del consenso per la stipula del contratto definitivo: l’obbligo di stipulare il contratto definitivo, dunque, discende dal contratto preliminare e non dal versamento della caparra.
Secondo quanto indicato nella pronuncia in esame, di conseguenza, ai fini dell’assoggettabilità all’Iva occorre distinguere due possibili casi:
- quello dell’adempimento del contratto preliminare (con stipula, quindi, del contratto definitivo),
- e quello dell’inadempimento.
Nel primo caso la caparra è imputata al prezzo dei beni oggetto del contratto definitivo, assoggettabili ad Iva, integrando così il presupposto impositivo.
Ricorrendo, invece, un’ipotesi di inadempimento, il promittente venditore può trattenere la caparra, che non costituirà pertanto il corrispettivo di una prestazione ma un risarcimento, che non fa parte della base imponibile Iva.
La Corte di Cassazione conclude dunque come segue: “attesa la pluralità di funzioni che la corresponsione della caparra può assumere nell’ambito del regolamento negoziale del contratto preliminare stipulato dalle parti, la corretta individuazione della natura dell’importo versato a titolo di caparra richiede una attività di accertamento della effettiva volontà delle parti da parte del giudice di merito”.
Il giudice avrebbe dunque dovuto valutare la volontà delle parti espressa nei contratti preliminari: “in questo contesto assume particolare rilievo la circostanza… che ai contratti preliminari, sebbene non registrati, ha fatto seguito la stipula dei contratti definitivi, circostanza che induce ad accreditare sul piano logico, la tesi della imputazione delle somme ad acconto del prezzo”.
La pronuncia giunge a conclusioni che sollevano forti perplessità, soprattutto in considerazione del fatto che è lo stesso articolo 1385 cod. civ. a prevedere che “Se al momento della conclusione del contratto una parte dà all’altra, a titolo di caparra, una somma di danaro o una quantità di altre cose fungibili, la caparra, in caso di adempimento, deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta”.
La circostanza, dunque, che l’importo sia imputato al corrispettivo dovuto non può sollevare dubbi interpretativi sulla natura della dazione di denaro, che resta sempre qualificabile come caparra (con applicazione del previsto regime in materia di imposte indirette).
A diverse conclusioni sarebbe stato possibile giungere nel caso in cui nel contratto non fosse stata qualificata la natura della somma corrisposta: al ricorrere di quest’ultima fattispecie, infatti, si sarebbe resa necessaria un’attività interpretativa, e, secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza (ma anche dell’Agenzia delle entrate) si sarebbe dovuto dare prevalenza alla funzione di acconto.
D’altra parte, la stessa Agenzia delle entrate, con la risoluzione 197/E/2007 ha ritenuto che “Affinché la somma versata a titolo di caparra confirmatoria rilevi anche come anticipazione del corrispettivo pattuito, soggetta a Iva al momento del pagamento alla controparte, è necessario che le parti attribuiscano espressamente alla predetta somma, in aggiunta alla funzione di liquidazione anticipata del danno da inadempimento, anche quella, rilevante a seguito dell’esecuzione, di anticipazione del corrispettivo”.