Sul reverse l’Agenzia comincia a “slittare”
di Comitato di redazioneAppare chiaro a tutti i colleghi come la materia della inversione contabile da articolo 17, comma 6, lettera a-ter) sia stata una vicenda difficile da superare sia per l’interprete ufficiale (Agenzia) che per gli operatori che si confrontano quotidianamente con essa. La responsabilità di questi (inutili) sforzi, come appare chiaro, non è ascrivibile alla Amministrazione finanziaria che si è trovata dinnanzi all’improbo sforzo di commentare una norma sintetica, atecnica e strutturata in modo completamente difforme a canoni di chiarezza e concretezza.
Per quanto detto, si crede che si sia fatto quanto possibile per ricostruire, con le due circolari del 2015, un panorama che potesse essere applicato quotidianamente, ricorrendo ad alcune semplificazioni che – al di là della loro condivisibilità dal punto di vista strettamente teorico – certamente appaiono utili per risolvere le svariate casistiche pratiche.
Un obiettivo, però, deve guidare tutti coloro che si accostano a vario titolo al problema: cercare di mantenere fermi alcuni principi basilari che, nel bene e nel male, sono stati ad oggi raggiunti a livello interpretativo.
Per questo motivo, ci pare opportuno cercare di limitare le “schegge impazzite” che si possono produrre a seguito di soluzioni estemporanee che rischiano di discostarsi da tali principi.
Così, apprendiamo dalla stampa specializzata che, in data 10 marzo 2016, durante il question time in Commissione Finanze alla Camera, si è affermato che i lavori di ampliamento di un fabbricato rientrano nel meccanismo del reverse charge.
In particolare, si trattava di opere murarie nell’ambito di un ampliamento dell’edificio.
Ora, risulta ad oggi noto che rientrano nelle prestazioni in reverse le attività ascrivibili al codice ATECO 43.39.01 “attività non specializzate di lavori edili”, ove si rinviene il rinvio e riferimento agli altri lavori di costruzione e istallazione non classificati altrove.
Diversamente, sono esclusi dalla inversione contabile le prestazioni caratterizzate dal codice 41.2 “costruzione di edifici residenziali e non residenziali”, ove si evoca una vera a propria attività di realizzazione “completa” di edifici.
A livello di normativa specifica di settore, purtroppo, la fattispecie del completamento degli edifici non viene esplicitamente citata ed inquadrata all’interno del DPR 380/2001 e, per conseguenza, non si può trarre alcun conforto interpretativo dalle indicazioni “tecniche”.
Sembra, dunque, che la risposta dell’Agenzia sia tesa ad apportare una ulteriore semplificazione, spingendo gli operatori a riferire la valutazione unicamente alle attività ricomprese nelle richiamate 2 classi ATECO.
Al riguardo, nella circolare 37/2015 si è affermato che “… in presenza, ad esempio, di un contratto avente ad oggetto il frazionamento di un’unità immobiliare, senza modifica della volumetria complessiva dell’edificio e dell’originaria destinazione d’uso, in cui è prevista anche l’installazione di uno o più impianti, non si dovrà procedere alla scomposizione del contratto, distinguendo l’installazione di impianti dagli interventi edilizi, ma si applicherà l’IVA secondo le modalità ordinarie all’intera fattispecie contrattuale”.
Di fatto, sembra che si sia più volte affermato – in modo diretto o implicito – che gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria fossero vicini al reverse, mentre gli interventi di natura superiore fossero da ascrivere ad attività più vicine alla “costruzione” con la conseguenza che l’inversione contabile non potesse trovare applicazione.
Ed allora ben si comprende come la corretta “imputazione” di tale intervento ad una area piuttosto che ad un’altra non pare potersi risolvere in modo così scontato.
Anzi, riscontriamo che tutto quanto indicato nelle circolari n. 14/2015 e 37/2015 faceva in realtà presumere che la risposta potesse essere diametralmente opposta a quella di fatto rilasciata.
A prescindere dalle conclusioni raggiunte, in merito alle quali non ci vogliamo intestardire, ci pare utile svolgere una differente riflessione.
Alla fine di evitare l’inutile stillicidio del proliferare delle risoluzioni ed ora anche delle interpellanze parlamentari, ci parrebbe assolutamente utile ed urgente che l’Agenzia facesse un ulteriore sforzo, consistente nella diramazione di una precisazione di prassi che proponga una semplice tabella nella quale elencare le più tipiche tipologie di interventi edilizi, magari con il riferimento alle disposizioni normative, in relazione alle quali specificare se si applichi o meno l’inversione contabile.
Insomma, premiato lo sforzo del passato per restare ancorati al riferimento ai codici ATECO, sembra oggi urgente invertire (ovvero, correggere) la rotta per i lavori di natura edile, che per loro natura mal si ripartiscono tra le due classi.
Si tenga anche in considerazione il fatto che gli operatori del settore non adottano criteri di ripartizione “precisi” dei lavori per assumere un codice piuttosto che un altro; sappiamo che il codice adottato non ha rilevanza ampia nel reverse, rilevando invece la natura della prestazione, ma appare evidente il circolo vizioso.
Se la prestazione non è facilmente individuabile, altrettanto problematica sarà la individuazione del codice ATECO, con la conseguenza che l’aiuto interpretativo a suo tempo fornito diviene sterile ed inutile.
Basterebbe poco per dirimere – con un sol documento – tutte le questioni che ancora oggi sono pendenti.