30 Novembre 2013

Sulla capacità espansiva del giudicato esterno

di Massimiliano TasiniPatrizia Pellegrini
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L’istituto giuridico di derivazione processual-civilistica del giudicato tributario, idoneo a conferire certezza, stabilità, rapidità e coerenza agli accertamenti giudiziali, è assicurato dall’ordinamento in forza del combinato disposto degli articoli 324 C.p.c e 2909 Cod. Civ., in quanto norme generali regolatrici del processo applicabili anche al processo tributario.

In materia tributaria, l’autonomia tra i diversi periodi di imposta sancita dall’art. 7, comma 1, del Tuir pone il problema dell’estensione dell’efficacia del giudicato, se limitata all’atto impugnato, ovvero travalicante il perimetro del giudizio.

Dapprima, la Corte di Cassazione (sentenza 30 maggio 2003, n. 8709) ebbe ad affermare che “nel sistema tributario ogni anno fiscale mantiene la propria sostanziale autonomia e comporta la costituzione tra contribuente e fisco di un rapporto giuridico distinto rispetto a quelli relativi agli anni precedenti e successivi”. Il che valse a sostenere, anche in pronunce successive, la limitazione dell’efficacia della cosa giudicata alla singola annualità pur senza comporre il contrasto giurisprudenziale formatosi sulla materia.

La questione, sottoposta al vaglio delle SS.UU. (sentenza 16 giugno 2006, n. 13916), è stata risolta nel senso di ritenere che il giudicato relativo ad un periodo di imposta sia idoneo a fare stato per i successivi periodi in relazione a quelle statuizioni della sentenza che siano relative agli elementi costitutivi dell’obbligazione, valevoli dunque a realizzare il presupposto del tributo anche in altre annualità.

Certamente, i Supremi Giudici non hanno ignorato l’enunciato di cui al citato art. 7, comma 1, del Tuir, ma dopo aver precisato che lo stesso inerisce unicamente alle imposte sul reddito e non ad ogni fattispecie di imposta periodica, ne chiariscono l’effettiva portata: l’autonomia delle obbligazioni di imposta relative a periodi diversi vale solo a negare la possibile esistenza di un’unica obbligazione corrispondente a più periodi di imposta, ma non vale ad escludere, proprio a motivo della periodicità di alcuni tributi, che possano esistere elementi rilevanti ai fini della determinazione del dovuto che siano comuni a più periodi di imposta. Tali sono quegli elementi aventi carattere di pregiudizialità nella costituzione dell’obbligazione tributaria, aventi cioè valore condizionante per l’applicazione di specifiche discipline.

Quel che rileva, dunque, affinché si possa utilmente invocare il (favorevole) giudicato formatosi in relazione ad un pregresso periodo di imposta, è che tra i due giudizi vi sia identità di causa petendi e petitum, cioè identità dei presupposti dell’obbligazione tributaria e delle ragioni poste dal contribuente a fondamento della ritenuta valenza di quei presupposti (vedi anche, Cass. 11226/2007, Cass. 4607/2008, Cass. 20029/2011 e la recente Cass. 24001/2013).

Invero, il limite all’efficacia espansiva del giudicato esterno può rinvenirsi in seno alla normativa ed alla giurisprudenza comunitaria in modo coerente e speculare alla disciplina della gerarchia delle fonti.

La Corte di Giustizia Europea ha affrontato il tema del rapporto tra primato del diritto comunitario ed autorità della cosa giudicata (causa C-2/08 Fallimento Olimpiclub) ritenendo che il diritto comunitario osti all’applicazione della disposizione (nazionale) recata dall’art. 2909 Cod. Civ. ove la decisione giurisdizionale definitiva sia fondata su un’interpretazione non conforme al diritto comunitario che, in quanto replicabile negli esercizi successivi, di fatto impedisca la possibilità di correggere tale difforme interpretazione.

Secondo i Giudici Europei, la salvaguardia del principio della certezza del diritto non può che cedere il passo alla superiore necessità di uniforme applicazione del diritto di matrice europea nello stesso modo in cui il giudice nazionale deve disapplicare la norma interna tutte le volte in cui risulti incompatibile con il diritto sovranazionale.

Giova precisare che la richiamata pronuncia della Corte di Giustizia Europea si riferisce alla sola imposta sul valore aggiunto, in quanto imposta armonizzata.

E qui si profila l’ombra del divieto dell’abuso del diritto