Sulla responsabilità amministrativa da reato delle società unipersonali
di Lucia Recchioni - Comitato Scientifico Master Breve 365Con la sentenza n. 45100, depositata ieri, 6 dicembre, la Corte di Cassazione è tornata a soffermarsi sull’applicabilità della disciplina in materia di responsabilità amministrativa degli enti alle società unipersonali.
Il caso riguarda tre Srl ritenute, dal Giudice per le indagini preliminari, gravemente indiziate degli illeciti previsti dagli articoli 21–25 D.Lgs. 231/2007, in relazione al reato presupposto di corruzione propria, attribuito ad un apicale che avrebbe corrotto l’assessore di un comune.
Le società erano unipersonali e gestite dall’unico socio; proprio per questo motivo il Tribunale aveva escluso l’applicabilità delle disposizioni in materia di responsabilità amministrativa degli enti, non costituendo le stesse soggetti autonomi rispetto alla persona fisica.
La Corte di Cassazione, investita della questione, ha ritenuto necessario ricordare che, nella delega conferita dall’articolo 11, commi 1-2, L. 300/2000 e nelle convenzioni internazionali che tale legge ha ratificato, la responsabilità è riferita all’ente, ovvero al soggetto diverso dalla persona fisica che ha commesso il reato presupposto.
Con la sentenza n. 218/2014 la Corte Costituzionale aveva evidenziato che l’illecito ascrivibile all’ente non può essere identificato con il reato commesso dalla persona fisica, in quanto quest’ultimo costituisce soltanto uno degli elementi che formano l’illecito da cui deriva la responsabilità amministrativa dell’ente; per tale motivo l’ente e l’autore del reato non possono essere qualificati coimputati.
Mutuando le parole della Corte di Cassazione, quindi, l’illecito dell’ente non si identifica con il reato commesso dalla persona fisica, ma semplicemente lo presuppone; l’illecito amministrativo non coincide con il reato, ma è qualcosa di diverso, che lo ricomprende (Cassazione, n. 2251/2010).
Alla luce di quanto appena esposto, pertanto, con la sentenza in esame la Corte di Cassazione si è soffermata sulla corretta interpretazione dell’articolo 1 D.Lgs. 231/2001, con il quale vengono definiti i soggetti nei confronti dei quali trovano applicazione le disposizioni in materia di responsabilità amministrativa degli enti; i dubbi, più precisamente, ruotano intorno all’approccio, formale o sostanziale, con il quale si rende necessario applicare la norma. Tutti i soggetti formalmente richiamati dalla norma sono sottoposti alle previsioni del D.Lgs. 231/2001, oppure è necessario verificare, attraverso un accertamento fattuale, se il soggetto può essere considerato un autonomo centro di imputazione dei rapporti giuridici rispetto alla persona fisica autrice del reato?
Con riferimento alla problematica in esame non può essere ignorato come la società unipersonale, nonostante l’estrema semplificazione della sua struttura, resti sempre un soggetto giuridico autonomo e distinto dalla persona fisica del socio unico, con un proprio patrimonio.
La Corte di Cassazione, quindi, ha correttamente rilevato che, in questi casi, “deve essere conciliata l’esigenza di evitare violazioni del principio del bis in idem sostanziale, che si realizzerebbero imputando alla persona fisica un cumulo di sanzioni punitive per lo stesso fatto, e quella opposta, cioè, di evitare che la persona fisica, da una parte, si sottragga alla responsabilità patrimoniale illimitata, costituendo una società unipersonale a responsabilità limitata, ma, al tempo stesso, eviti l’applicazione del D.Lgs. 231/2001, sostenendo di essere una impresa individuale”.
Il rischio è quello di vedere create persone giuridiche di ridottissime dimensioni al solo scopo di frammentare i rischi economici e normativi.
La Corte di Cassazione, alla luce di tutto quanto sopra esposto, ha concluso dunque evidenziando l’esigenza di un accertamento in concreto “del se, in presenza di una società unipersonale a responsabilità limitata, vi siano i presupposti per affermare la responsabilità dell’ente; un accertamento che non è indissolubilmente legato solo a criteri quantitativi, cioè alle dimensioni della impresa, di tipologia della struttura organizzativa della società, quanto, piuttosto, a criteri funzionali, fondati sulla impossibilità di distinguere un interesse dell’ente da quello della persona fisica che lo governa, e, dunque, sulla impossibilità d configurare una colpevolezza normativa dell’ente – di fatto inesigibile – disgiunta da quello dell’unico socio”.
Si tratta, quindi, di una verifica complessa, che richiede un’attenta analisi dell’organizzazione della società, delle attività concretamente poste in essere, delle dimensioni dell’impresa, dei rapporti tra socio unico e società, dell’esistenza di un interesse sociale e del suo effettivo perseguimento.