Sull’indeducibilità dei compensi ai familiari
di Federica FurlaniNelle piccole realtà professionali o imprenditoriali è frequente che i familiari prestino un’attività lavorativa nei confronti del professionista o dell’imprenditore.
Dal punto di vista fiscale, la relativa disciplina è regolata rispettivamente:
- dall’articolo 54, comma 6-bis, Tuir per quanto riguarda i compensi corrisposti ai familiari da parte di un lavoratore autonomo;
- dall’articolo 60 Tuir per quelli corrisposti nell’esercizio di imprese.
In particolare, la prima norma dispone che “Non sono ammesse deduzioni per i compensi al coniuge, ai figli, affidati o affiliati, minori di età o permanentemente inabili al lavoro, nonché agli ascendenti dell’artista o professionista ovvero dei soci o associati per il lavoro prestato o l’opera svolta nei confronti dell’artista o professionista ovvero della società o associazione. I compensi non ammessi in deduzione non concorrono a formare il reddito complessivo dei percipienti”.
La disposizione prevede pertanto che il professionista non può dedurre, in sede di determinazione del reddito di lavoro autonomo, i compensi erogati ai seguenti suoi familiari (ma anche dei soci/associati nel caso di esercizio dell’attività in forma associata):
- il coniuge, anche separato;
- i figli minori di età, anche affidati o affiliati;
- i figli permanentemente inabili al lavoro, anche affidati o affiliati;
- gli ascendenti, ovvero genitori e nonni.
L’elencazione è tassativa e quindi restano esclusi dalla limitazione i figli maggiorenni abili al lavoro, i fratelli, gli zii, gli affini.
L’indeducibilità è inoltre legata ad un specifico rapporto di lavoro; deve infatti trattarsi esclusivamente di:
- rapporti di lavoro dipendente (“lavoro prestato”);
- rapporti di collaborazione coordinate e continuativa (“opera svolta”);
- prestazioni di lavoro occasionale;
e non coinvolge pertanto le prestazioni rese nell’esercizio di arti e professioni inquadrabili nella previsione di cui all’articolo 53, comma 1, Tuir.
Nello specifico, come precisato dalla circolare 25/E/1997, la norma non si applica “ai compensi erogati al coniuge o ai predetti familiari per prestazioni di lavoro autonomo artistico o professionale … in quanto la disposizione in esame usa la locuzione “lavoro prestato” con riferimento al lavoro dipendente e “opera svolta” con riferimento ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa nonché occasionale. Proprio la locuzione “opera svolta”, infatti, non si può riferire ai lavoratori autonomi esercenti arti e professioni, in quanto questi ultimi non svolgono un’opera per conto di un terzo ma prestano autonomamente servizi a terzi.
Quindi, il medico che corrisponde alla moglie professionista/commercialista un compenso per la tenuta della contabilità, dedurrà il relativo costo; mentre invece se corrisponde alla figlia un compenso per una prestazione occasionale (attività di archivio) svolta nello studio, questo sarà indeducibile.
Per quanto riguarda l’identificazione dei compensi indeducibili, l’indeducibilità si riferisce anche agli accantonamenti di quiescenza e previdenza, mentre rimangono deducibili i contributi previdenziali e assistenziali versati dall’artista o professionista (dalla associazione o società) per i lavoratori dipendenti e per i collaboratori “familiari”.
L’ultima parte dell’articolo 54, comma 6-bis, Tuir prevede esplicitamente che i compensi non deducibili non concorrono a formare il reddito dei percipienti e quindi essi non devono venire assoggettati a ritenuta fiscale alla fonte, mentre vanno effettuate normalmente le ritenute previdenziali e il relativo versamento dei contributi.
Nel caso invece di familiari che effettuano le prestazioni in qualità di lavoratori autonomi professionali, il professionista è tenuto ad operare la ritenuta d’acconto su tali redditi, nella misura del 20%, e i familiari subiscono l’ordinaria tassazione sugli stessi.
Per quanto concerne la deducibilità dei compensi corrisposti ai familiari da parte dell’imprenditore individuale, la relativa disciplina è contenuta nell’articolo 60 Tuir, che stabilisce che “Non sono ammesse in deduzione a titolo di compenso del lavoro prestato o dell’opera svolta dall’imprenditore, dal coniuge, dai figli, affidati o affiliati minori di età o permanentemente inabili al lavoro e dagli ascendenti, nonché dai familiari partecipanti all’impresa di cui al comma 4 dell’articolo 5”.
Si tratta quindi di una disciplina del tutto analoga a quella analizzata sopra nel caso del professionista.
21 Luglio 2021 a 10:11
L’ indeducibilità del costo sostenuto dal medico, per la prestazione occasionale
svolta dalla figlia deve riferirsi ai soli minorenni oppure è estesa anche ai figli
maggiorenni?
21 Luglio 2021 a 11:55
si ritiene che la disposta esclusione non valga per i figli, affidati o affiliati, maggiorenni e non permanentemente inabili al lavoro, nonché per gli altri parenti ivi non indicati, con la conseguenza che i compensi a costoro spettanti sono deducibili subordinatamente alla loro registrazione nel libro paga e nel libro matricola ai fini dei contributi previdenziali ed assistenziali obbligatori effettivamente versati.
21 Luglio 2021 a 16:19
Chiedo scusa, ma il compenso erogato dallo studio associato (associazione professionale ex L.1815/1939), al coniuge di uno degli associati, quale lavoratore dipendente, non dovrebbe essere deducibile? Il dettato della norma, infatti, non dovrebbe essere letto nel senso che “non sono deducibili i compensi al coniuge, ai figli, affidati o affiliati, minori di età o permanentemente inabili al lavoro, nonché agli ascendenti per il lavoro prestato o l’opera svolta nei confronti dell’artista o professionista” E “non sono deducibili i compensi dei soci o associati per il lavoro prestato o l’opera svolta nei confronti della società o associazione”? Questa tesi sarebbe sostenuta da almeno due ragioni: 1) per coerenza e parità di trattamento con l’analoga norma dettata per le imprese (dove i compensi al coniuge del socio di una s.a.s. sono assolutamente deducibili, vedasi Ris. 158/E del 2002); 2) per le stesse ragioni addotte dall’Agenzia delle Entrate nella Risoluzione poc’anzi citata, e cioè che “La pluralità dei soci che contraddistingue le imprese collettive, l’esistenza di una struttura, un’organizzazione economica ben definita che si pone giuridicamente su un piano di autonomia rispetto ai soci, e dai quali rimane nettamente distinta, garantiscono una maggiore trasparenza nella gestione degli affari sociali. Al tempo stesso, facilitano sia la possibilità di trovare riscontri oggettivi del lavoro effettivamente prestato dai soci e dai loro familiari, sia di verificare l’inerenza di tale lavoro con l’attività d’impresa”. Le risultano orientamenti di prassi contrari a quanto da me ipotizzato?