Superamento del plafond neutrale in capo all’esportatore abituale
di Marco PeiroloL’Agenzia delle Entrate, con la recente risoluzione 16/2017, è nuovamente intervenuta sulle modalità di regolarizzazione degli acquisti senza applicazione dell’IVA oltre i limiti del plafond disponibile, chiarendo che la procedura basata sul computo della maggiore IVA in sede di liquidazione periodica può essere adottata entro il 31 dicembre dell’anno in cui si è realizzato lo splafonamento e non oltre.
È il caso di ricordare che, dal punto di vista sostanziale, il superamento del plafond è neutrale in capo all’esportatore abituale, in quanto l’imposta che tale soggetto deve versare all’Erario può anche essere detratta, peraltro a prescindere dall’eventuale scadenza del termine biennale di decadenza nel frattempo intervenuta. Resta dovuta la sanzione (dal 100 al 200% dell’imposta), che può essere però ridotta con la procedura di ravvedimento operoso, da effettuare con o senza il coinvolgimento del cedente/prestatore.
L’articolo 7, comma 3, del D.Lgs. n. 471/1997 dispone che, se la dichiarazione d’intenti è stata rilasciata in mancanza dei presupposti richiesti dalla normativa, dell’omesso pagamento dell’IVA risponde esclusivamente l’esportatore abituale, cioè il soggetto che ha rilasciato la dichiarazione stessa. La previsione è in linea sia con l’articolo 8, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, secondo il quale sono effettuate senza pagamento dell’imposta le cessioni di beni e le prestazioni di servizi nei confronti degli esportatori abituali, “su loro dichiarazione scritta e sotto la loro responsabilità (…)”, sia con l’articolo 2, comma 1, del D.L. n. 746/1983, in base al quale, “qualora sia stata rilasciata la dichiarazione, dell’omesso pagamento dell’imposta rispondono soltanto i cessionari, i committenti e gli importatori che hanno rilasciato la dichiarazione stessa”.
In deroga, pertanto, al principio generale previsto dall’articolo 17, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972, secondo cui l’IVA è dovuta dal cedente/prestatore, previo addebito a titolo di rivalsa al cessionario/committente, è quest’ultimo – in veste di esportatore abituale – che deve corrispondere l’IVA se ha effettuato acquisti di beni o servizi senza applicazione dell’imposta per un importo superiore al plafond disponibile.
In passato, l’Amministrazione finanziaria aveva negato all’esportatore abituale la possibilità di recuperare in detrazione l’imposta dovuta a seguito dello “splafonamento” laddove fosse già decorso il termine biennale di decadenza previsto dall’articolo 19, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972 (risoluzione dell’AdE 161/2008).
Tale posizione è stata superata dalla circolare 35/2013, con la quale l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in ordine alla riformulazione dell’articolo 60, comma 7, del D.P.R. n. 633/1972 ad opera dell’articolo 93 del D.L. n. 1/2012. Sebbene tale norma prevede l’esercizio della detrazione da parte del cessionario/committente a seguito della rivalsa dell’imposta da parte del cedente/prestatore, la tutela del principio di neutralità impone che la facoltà di detrarre l’IVA pagata in sede di accertamento sia riconosciuta anche nelle ipotesi in cui, in deroga alle comuni regole di funzionamento del tributo, sia debitore d’imposta il cessionario/committente in luogo del cedente/prestatore.
In base a questa nuova impostazione, avallata dalla giurisprudenza (C.T. Reg. di Milano, 22 febbraio 2016, n. 1044/67/16), l’esportatore abituale cui sia stato contestato lo splafonamento può esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il medesimo ha provveduto al pagamento dell’imposta, della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi.
La giurisprudenza è ritornata sulla questione della natura (sostanziale o formale) dell’acquisto di beni/servizi senza applicazione dell’IVA in misura superiore al plafond disponibile, affermando che la violazione ha carattere sostanziale e dà luogo al recupero dell’imposta nei confronti dell’esportatore abituale e all’irrogazione, nei suoi confronti, della sanzione, pari al 100% della relativa IVA (C.T. Reg. di Torino, 21 ottobre 2015, n. 1103/26/15).
Dai fatti di causa si desume che la società ha proposto ricorso avverso l’avviso di accertamento sostenendo:
- da un lato, che, se avesse dovuto pagare l’IVA sugli acquisti effettuati, avrebbe visto nascere un credito IVA di enorme entità, con l’aggravio per la società di notevoli interessi passivi bancari, non sempre deducibili fiscalmente dal reddito d’impresa, che la stessa avrebbe dovuto pagare per poter far fronte alla mancanza di liquidità che si veniva a verificare, o comunque avrebbe dovuto attendere le tempistiche burocratiche per poter beneficiare del rimborso del credito che avrebbero intaccato le risorse monetarie;
- dall’altro, che, con il proprio operato, non avrebbe arrecato alcun danno all’Erario in considerazione della neutralità dell’IVA.
In primo grado, i giudici hanno accolto parzialmente il ricorso, riducendo la sanzione alla metà, ex articolo 7, comma 4, del D.Lgs. n. 471/1997, siccome sproporzionata rispetto alla violazione commessa, ed annullando la rettifica disposta dall’Ufficio, in quanto la società ha violato gli obblighi contabili, ma non ha sottratto a tassazione il tributo dovuto. La società, infatti, se avesse rispettato le regole, avrebbe pagato un’imposta che non sarebbe diventata “dovuta” perché recuperata nella dichiarazione annuale come credito d’imposta, di cui poi avrebbe o chiesto il rimborso o esercitato la detrazione nell’anno successivo.
La Commissione Tributaria Regionale, riformando la decisione di primo grado, ha accolto l’appello dell’Ufficio.
In primo luogo, è stato stabilito che il mancato versamento dell’IVA relativa agli acquisti effettuati senza disporre del plafond non costituisce una mera irregolarità formale. In base al consolidato orientamento della Corte di Cassazione, infatti, il cessionario/committente che, beneficiando dell’agevolazione prevista per gli esportatori abituali, acquista beni/servizi senza applicazione dell’IVA oltre il limite consentito, è tenuto al pagamento dell’imposta (Cass. n. 7695/2013 e Cass. n. 23588/2012). In secondo luogo, i giudici d’appello hanno escluso la riduzione fino alla metà del minimo della sanzione, non ritenendo sussistenti i presupposti per l’applicazione della previsione contenuta nell’articolo 7, comma 4, del D.Lgs. n. 471/1997, che la decisione di primo grado ha riscontrato in considerazione dell’infrazione commessa, dell’entità del danno, delle circostanze di fatto che l’hanno determinata e dell’assenza di frode.