Tassato il comproprietario che non stipula il contratto di locazione
di Cristoforo FlorioNella pratica professionale capita, non di rado, di imbattersi in situazioni in cui la proprietà immobiliare sia riconducibile ad una pluralità di soggetti (si pensi, ad esempio, al caso delle comunioni ereditarie o, ancora più frequentemente, alla comproprietà immobiliare tra i coniugi) ma il bene immobile venga poi concesso in locazione solo da parte di uno dei titolari del diritto reale, il quale provvede a stipulare il relativo contratto di locazione esclusivamente a proprio nome. Talora, invece, si verifica l’ipotesi in cui l’immobile sia concesso in comodato (ad esempio dal genitore al figlio) e il comodatario lo conceda in locazione ad altro soggetto, registrando a proprio nome il relativo contratto di locazione.
Nelle descritte situazioni, al di là della legittimità giuridica o meno delle fattispecie (aspetto sul quale non ci si soffermerà nel presente contributo in quanto esula dalle finalità dello stesso), si pone il problema di individuare chi sia il soggetto che è tenuto a dichiarare all’Amministrazione finanziaria il relativo canone di locazione; occorre cioè appurare se il predetto reddito debba essere dichiarato dal titolare del diritto reale (o, in caso di contitolarità del diritto reale, da ciascuno dei comproprietari secondo le rispettive quote) oppure dal soggetto che abbia stipulato a proprio nome il contratto di locazione (indipendentemente dal fatto che ne avesse titolo o meno per farlo).
Al fine di tentare di dare una risposta al quesito occorre innanzitutto evidenziare che l’articolo 26, comma 1, D.P.R. 917/1986 dispone, in tema di redditi fondiari delle persone fisiche, che i canoni di locazione concorrono a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale per il periodo di imposta in cui si è verificato il possesso.
Inoltre, la richiamata norma di legge prevede – al comma 2 – che, in caso di contitolarità della proprietà o altro diritto reale sull’immobile o di coesistenza di più diritti reali su quest’ultimo, il reddito da locazione concorre a formare il reddito complessivo di ciascun soggetto per la parte corrispondente al suo diritto.
L’impostazione della citata norma di legge è coerente con quanto previsto dall’articolo 3 D.P.R. 917/1986 in tema di determinazione della base imponibile Irpef che, a differenza del previgente articolo 3 D.P.R. 597/1973, non include più nella base imponibile del contribuente anche “(…) i redditi altrui dei quali egli ha la libera disponibilità o l’amministrazione senza obbligo della resa dei conti (…)”.
In altri termini e come confermato anche dall’Amministrazione finanziaria con la risoluzione n. 7/2206 del 9 novembre 1991, nella vigente impostazione adottata dal legislatore in tema di Irpef, rileva – ai fini della tassazione dei canoni di locazione – la titolarità del diritto reale sul bene, indipendentemente dal soggetto che abbia poi materialmente la disponibilità del reddito (perché, ad esempio, risulti essere l’unico intestatario del contratto di locazione e l’unico percettore del relativo canone, nonostante l’immobile stesso sia di proprietà di una pluralità di soggetti).
Anche più recentemente l’Agenzia delle Entrate, con la circolare 20/E/2012, ha chiarito – pronunciandosi in tema di “cedolare secca” – che in caso di fabbricato in comproprietà, il contratto di locazione stipulato da uno solo dei comproprietari esplica effetti anche nei confronti del comproprietario non indicato nel contratto stesso, con la conseguenza che anche quest’ultimo soggetto ai fini fiscali è tenuto a dichiarare il relativo reddito fondiario per la quota a lui imputabile. E a conferma di ciò, il modello RLI telematico, necessario per la registrazione dei contratti di locazione, prevede – nel quadro B “Dati del locatore – Soggetti” – la sezione “Soggetto non presente in atto” che, secondo le istruzioni di compilazione, “(…) deve essere barrata se nel contratto di locazione non sono stati indicati tutti i cointestatari dell’immobile (…)”, ammettendo implicitamente la possibilità che il contratto di locazione sia concluso da un solo soggetto ma che lo stesso debba poi esplicare effetti tributari anche nei confronti degli altri eventuali contitolari dell’immobile concesso in locazione.
Di avviso contrario a quanto sopra illustrato sembra invece essere la Corte di Cassazione, con l’orientamento evidenziato nell’Ordinanza n. 3085/2016; secondo tale posizione, nel caso di un contribuente che detenga in comunione col coniuge un immobile (nella sentenza non è chiaro se si tratti di “comunione legale” o di “comunione incidentale”) e che lo conceda in locazione ad un terzo, intestando il relativo contratto solo a suo nome ed incassando i relativi canoni sul proprio conto corrente, il reddito da locazione deve essere imputato esclusivamente in capo al titolare del contratto di locazione, in base al principio generale di cui all’articolo 1 D.P.R. 917/1986 secondo cui il presupposto impositivo Irpef scatta con “(…) il possesso di redditi in denaro o in natura rientranti nelle categorie indicate nell’art. 6 (…)”.
Relativamente alla “comunione legale” va poi ricordato che l’articolo 4, comma 1, D.P.R. 917/1986 prevede che, ai fini della determinazione del reddito complessivo da assoggettare ad Irpef, “(…) i redditi dei beni che formano oggetto della comunione legale di cui agli artt. 177 e seguenti del codice civile sono imputati a ciascuno dei coniugi per metà del loro ammontare netto o per la diversa quota stabilita ai sensi dell’art. 210 dello stesso codice (…)”.
Ma l’orientamento della Cassazione non è stato sempre univoco sul tema; infatti, con la sentenza n. 19127 del 2006, la stessa Corte aveva stabilito che il reddito da locazione immobiliare è imputabile “pro quota” ai singoli comproprietari, “(…) ancorché di esso si sia appropriato uno solo di essi e ciò in quanto gli altri acquisiscono un diritto di credito nei confronti del gestore infedele (…)”.
Passando al tema del comodato, l’Agenzia delle Entrate – relativamente al caso dell’immobile concesso in locazione da parte del comodatario – ha specificato, con la risoluzione 381/E/2008, che il contratto di comodato non trasferisce la titolarità del reddito fondiario dal comodante al comodatario; si tratta infatti un contratto disciplinato dagli articoli 1803 e ss. cod. civ. ad effetti “obbligatori” e non “reali”, che fa nascere a favore del comodatario un diritto “personale” di godimento sulla cosa concessa in comodato e non un “altro diritto reale”. Conseguentemente, nel caso in cui il comodatario stipuli, quale locatore, un contratto di locazione, il relativo reddito da locazione immobiliare andrà imputato (e, quindi, dichiarato e tassato) in capo all’effettivo proprietario dell’immobile (e non in capo al comodatario in capo al quale è registrato il contratto di locazione).
In senso contrario si è espressa la C.T.R. Piemonte la quale, con sentenza n. 14 del 18 febbraio 2011, ha invece sostenuto che, nell’ipotesi di comodato immobiliare gratuito da padre a figlio e concessione in locazione dell’immobile da parte di quest’ultimo, i relativi redditi vanno dichiarati dal comodatario, quali redditi diversi.
Da ultimo va evidenziato che, sotto il profilo normativo, un’eccezione alla regola generale sul comodato immobiliare sopra illustrata è rinvenibile nell’ambito delle locazioni c.d. “brevi”, di cui all’articolo 4 D.L. 50/2017; infatti, nei contratti di locazione di immobili ad uso abitativo di durata non superiore a 30 giorni stipulati da persone fisiche al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa, è esplicitamente previsto dalla norma di legge che, laddove l’immobile sia concesso in locazione “breve” da parte del comodatario, il reddito in questione deve essere imputato a quest’ultimo (e non, quindi, in capo al proprietario/comodante), pur non essendo questi titolare di alcun diritto reale sull’immobile.
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