Tassazione delle riserve in sospensione decisiva nelle assegnazioni
di Enrico FerraI chiarimenti forniti dall’Agenzia delle entrate con la circolare n.26/E/2016 hanno consentito di quantificare con un “discreto” margine di fiducia gli oneri tributari connessi all’operazione di assegnazione agevolata dei beni immobili, consentendo ai soggetti interessati di stimare i relativi effetti. Un margine di fiducia, purtroppo, solo “discreto” perché a pochi mesi dalla scadenza del termine previsto per l’assegnazione dei beni mancherebbero all’appello importanti precisazioni sul trattamento tributario delle riserve in sospensione d’imposta da annullare come contropartita contabile dell’assegnazione.
Si è evidenziato da più parti come la disciplina in commento appaia particolarmente interessante per quelle società che in passato hanno sfruttato le diverse leggi di rivalutazione degli immobili e trovano oggi oltremodo difficoltoso il superamento del “test di operatività” di cui all’articolo 30 della Legge n.724/1994.
Tale test rappresenta un efficace strumento repressivo nel contrastare l’abuso della persona giuridica e ciò perfino quando l’abuso non c’è. Il riferimento è ai soggetti in liquidazione, che di fatto sostanzialmente hanno “rinunciato” allo scopo lucrativo per avviarsi alla definizione dei rapporti pendenti. Anche in questi casi, è bene ricordarlo, il citato test prescinde dalla circostanza che il patrimonio aziendale sia di fatto in “disgregazione” ed impone alle società di ritrarre la medesima redditività (con la medesima regolarità) presunta nelle ipotesi di continuazione.
Entrando nel merito dell’operazione di assegnazione, con la pubblicazione del documento del CNDCEC nel mese di marzo 2016 è divenuto chiaro che, a prescindere dal valore (normale o catastale) prescelto per perfezionare l’operazione da un punto di vista fiscale, da un profilo civilistico la società e i soci sono liberi di stabilire un valore di riferimento per dare concreta attuazione all’assegnazione, fermo restando che l’adozione del valore di mercato risulta essere la soluzione più fedele alla sostanza dell’operazione e quella più rispettosa della parità di trattamento tra i soci. Ciò è quanto emerge, del resto, dall’esempio proposto dall’Agenzia delle entrate nel citato documento di prassi, dove si evidenzia che, a fronte di un valore catastale dell’immobile di 90, vengono annullate riserve di utili per 100, pari cioè al valore normale del bene assegnato.
Da un punto di vista strettamente tributario, è divenuto poi sempre più evidente che la norma non richiede una perfetta corrispondenza tra il valore (normale o catastale) che il contribuente sceglie per l’applicazione dell’imposta sostitutiva dell’8% o del 10,5% sulle plusvalenze ed il valore di (effettiva) assegnazione ai fini della tassazione sostitutiva del 13% sulle “riserve in sospensione d’imposta annullate per effetto dell’assegnazione dei beni ai soci”. In altri termini, per la determinazione dell’imposta sostitutiva del 13% la norma prende a riferimento un valore che appare (almeno concettualmente) slegato dal valore (catastale o normale) dell’immobile che la società prende a riferimento per il pagamento dell’imposta sostitutiva sulle plusvalenze e che, d’altro canto, il socio assume per la determinazione del dividendo in natura.
In termini operativi, si è dunque sostenuto che se da un punto di vista civilistico/contabile la riduzione del patrimonio netto deve corrispondere al valore effettivo di assegnazione, per lo stesso importo dovrebbero essere ridotte le riserve in sospensione di imposta.
Tuttavia, la scelta del valore da attribuire non sembrerebbe priva di conseguenze ai fini fiscali. La lettura rigorosa dell’ultimo periodo del comma 116 della Legge di Stabilità 2016 (“Le riserve in sospensione d’imposta annullate per effetto dell’assegnazione dei beni ai soci […] sono assoggettate ad imposta sostitutiva nella misura del 13 per cento”) indurrebbe infatti a ritenere che la base imponibile su cui applicare l’imposta sostitutiva del 13% sia rappresentata dal valore attribuito al bene e quindi, di fatto, alla parte di riserve in sospensione d’imposta necessarie ed effettivamente utilizzate per rappresentare contabilmente l’operazione di assegnazione; a nulla rileverebbe in quest’ottica il valore catastale adottato dalla società per la determinazione dell’imposta sostitutiva sulle plusvalenze.
Di conseguenza, tornando all’esempio sopra proposto, se le riserve annullate fossero in sospensione d’imposta, il valore normale (100) rappresenterebbe la base imponibile per l’applicazione dell’imposta sostitutiva del 13% in capo alla società.