Tassazione indiretta del trust: la confusione regna sovrana
di Sergio PellegrinoCon l’ordinanza 734/19, depositata in cancelleria il 15 gennaio, la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione torna sulla fiscalità indiretta del trust, con il medesimo collegio giudicante delle due ordinanze 31445/2018 e 31446/2018, pubblicate lo scorso 5 dicembre.
La pronuncia è quindi conseguentemente in parte sovrapponibile con le due precedenti, ma la fattispecie esaminata in questo frangente è radicalmente diversa: il trust oggetto dell’ordinanza 734/19 è infatti un trust liberale, e non di garanzia come nelle altre due fattispecie esaminate.
Dopo aver, impropriamente, definito il trust come un’“entità patrimoniale”, l’ordinanza afferma che “la normativa sul trust … prevede l’applicabilità dell’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione”: il fatto è che non esiste una disciplina sulla fiscalità indiretta sul trust, e proprio questo è il motivo per il quale la Cassazione sta facendo tanta confusione sul tema …
I giudici evidenziano come l’aspetto controverso sia l’individuazione del momento in cui si realizza il presupposto impositivo, sul quale si assista ad un “apparente contrasto di vedute” nell’ambito della stessa Suprema Corte.
L’indirizzo allo stato prevalente è quello di tassare l’atto di disposizione dei beni in trust in misura fissa: questo sulla base del fatto che “il trasferimento del bene dal settlor al trustee avviene a titolo gratuito e non determina effetti traslativi, poiché non ne comporta l’attribuzione definitiva allo stesso, che è tenuto solo ad amministrarlo e a custodirlo, in regime di segregazione patrimoniale, in vista del suo ritrasferimento ai beneficiari del trust”.
Si fa quindi riferimento all’altro orientamento emerso in seno alla Cassazione, che “pretende” di tassare la costituzione del vincolo in quanto tale: secondo questa visione, con l’articolo 2, comma 47, D.L. 262/2006, il legislatore non si sarebbe limitato a ripristinare l’imposta di successione e donazione, ma avrebbe introdotto nell’ordinamento una “nuova” imposta sui vincoli di destinazione, colpendo un fenomeno patrimoniale del tutto distinto rispetto a quello investito dalla “tradizionale” imposta di successione e donazione.
La disposizione del patrimonio in trust, determinando la costituzione del vincolo di destinazione, andrebbe dunque assoggettata alla relativa imposta, indipendentemente dalla successiva attuazione della destinazione impressa al patrimonio stesso. In quest’ottica, non rileverebbe né il trasferimento del patrimonio, né l’arricchimento di alcuno: il presupposto impositivo sarebbe correlato alla predisposizione del programma di funzionalizzazione del diritto al perseguimento degli obiettivi voluti.
Nell’ordinanza in esame, i giudici ritengono preferibile l’orientamento allo stato prevalente, basato sulla constatazione che “l’unica imposta espressamente istituita è stata la reintrodotta imposta sulle successioni e sulle donazioni alla quale per ulteriore espressa disposizione debbono andare anche assoggettati i vincoli di destinazione, con la conseguenza che presupposto dell’imposta rimane quello stabilito dall’articolo 1 D.Lgs. 346/1990 del reale trasferimento di beni o diritti e quindi del reale arricchimento dei beneficiari”.
Alla luce dei principi costituzionali, legati alla capacità contributiva cui fa riferimento l’articolo 53 della Costituzione, l’imposta proporzionale si giustifica nel momento in cui il trasferimento a favore dell’attuatore faccia emergere la potenziale capacità economica del destinatario immediato del trasferimento: sono quindi rilevanti ai fini impositivi “i vincoli di destinazione in grado di determinare effetti traslativi collegate al trasferimento di beni e diritti, che realizza un incremento stabile, misurabile in moneta, di un dato patrimonio con correlato decremento di un altro”.
Per l’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni, viene ulteriormente sottolineato, va verificato il presupposto impositivo della liberalità, alla quale può dar luogo soltanto un reale arricchimento mediante un reale trasferimento di beni e diritti.
Senonché, dopo tutte queste considerazioni di portata generale, l’ordinanza entra nel merito della fattispecie in esame.
Una signora ha istituito nel 2008 un trust individuando come beneficiari finali sé stessa (!) e/o parenti fino al quarto grado sulla base di una “serie di eventi futuri ed incerti”.
Di più dalla pronuncia non si evince, ma sarebbe interessante leggere la clausola inserita nell’atto istitutivo.
Secondo i giudici, con una strutturazione di questo tipo, è legittima l’applicazione dell’imposta di donazione facendo emergere il trasferimento a favore dell’attuatore “la potenziale capacità economica del destinatario (immediato) del trasferimento”.
L’ordinanza prosegue affermando che “nella specie i contraenti vollero il reale trasferimento degli immobili al trustee e, quindi, il reale arricchimento dei beneficiari, non prevedendo in alcun modo un eventuale rientro dei cespiti in capo al disponente”.
Una conclusione del genere appare assolutamente non condivisibile, e non si capisce che cosa intenda l’estensore della pronuncia nel momento in cui afferma che “i contraenti vollero il reale trasferimento degli immobili al trustee” – ci mancherebbe altro, verrebbe da dire – e che non fosse previsto “in alcun modo un eventuale rientro dei cespiti in capo al disponente”.
Ulteriore passaggio non convincente, quello in cui la pronuncia, sebbene in modo confuso, propone un distinguo tra il trust in cui il trustee è un soggetto terzo rispetto a quello in cui l’ufficio è assunto dal disponente, lasciando supporre che con una strutturazione autodichiarata l’imposta di donazione non sarebbe stata dovuta.
Non si può non concludere che la pronuncia in esame appaia imprecisa e, in vari punti, irrazionale.