Tax free shopping: è facoltativo avvalersi delle società di tax refund
di Alessandro BonuzziIl consumatore extracomunitario non è obbligato ad avvalersi dell’ausilio delle società di tax free per ottenere il rimborso dell’Iva pagata relativa agli acquisiti effettuati in Italia; tale servizio, infatti, è facoltativo sebbene consenta di ottenere il riaccredito dell’imposta più velocemente.
È uno dei chiarimenti forniti dall’Agenzia delle entrate con la risposta all’interpello n. 93 di ieri.
Con istanza di interpello, un cittadino italiano, residente al di fuori della Comunità europea e iscritto all’Anagrafe Italiani residenti all’estero (AIRE), siccome si trova spesso ad affrontare il problema relativo al recupero dell’Iva sui beni acquistati da rivenditori italiani e trasportati direttamente fuori dell’Unione europea nel proprio bagaglio personale, chiede di sapere:
- se può ottenere dal rivenditore nazionale l’emissione della fattura ed il riaccredito integrale dell’Iva pagata, senza usufruire dei servizi offerti dalle società tax free convenzionate;
- se il rivenditore nazionale può rifiutarsi di emettere fattura ed opporsi alla restituzione dell’Iva.
In sostanza la questione riguarda l’articolo 38-quater D.P.R. 633/1972, il quale, come è noto, riconosce ai privati consumatori, domiciliati o residenti al di fuori dell’Unione europea, la possibilità di acquistare nel territorio dello Stato beni per uso personale o familiare, destinati ad essere esportati nei propri bagagli personali, per un importo superiore ad 154,94 euro (Iva inclusa), senza dover corrispondere la relativa imposta o, in caso di pagamento dell’imposta, con diritto al successivo rimborso.
Ciò al fine di evitare una doppia imposizione, che sarebbe data dall’Iva, nel Paese di acquisto (l’Italia), e dall’imposta sui consumi in vigore nel Paese di residenza dell’acquirente, all’atto dell’importazione.
Per godere del beneficio, però, i beni devono essere trasportati nei bagagli personali del viaggiatore extracomunitario al di fuori della Comunità europea entro 3 mesi dalla consegna.
Come anticipato, lo sgravio dell’imposta può avvenire secondo due modalità operative alternative:
- assoggettamento della vendita al regime di non imponibilità e, quindi, emissione della fattura da parte dell’esercente senza Iva;
- applicazione dell’Iva all’operazione di vendita con successivo rimborso dell’imposta.
Siccome il venditore rimane responsabile per l’assolvimento dell’Iva sulla cessione, di fatto, l’unica procedura percorribile, che consente di evitare situazioni rischiose, è la seconda. Pertanto, il cedente, solitamente, addebita in rivalsa l’Iva al momento della vendita, per poi procedere:
- alla restituzione dell’imposta al viaggiatore extra-Ue, nel momento in cui questi gli dimostri l’uscita dei beni dal territorio comunitario entro il terzo mese successivo e gli consegni l’esemplare vistato della fattura;
- al recupero dell’Iva mediante l’emissione di un’ordinaria nota di variazione in diminuzione.
Proprio nell’ambito della procedura tramite rimborso si possono inserire, nel rapporto tra cedente-cessionario, le società di “tax refund”, quali soggetti intermediari. In pratica, tali società anticipano l’Iva al viaggiatore, il quale, in tal modo, ottiene immediatamente, previo pagamento di una commissione, la somma cui ha diritto, evitando altresì di doversi occupare della restituzione della fattura.
Al riguardo l’Agenzia puntualizza che è nella facoltà del cessionario scegliere di avvalersi o meno dell’ausilio delle società di tax free al fine ottenere un rimborso più veloce, non essendovi alcun obbligo in tal senso imposto dalla legge.
La stessa libertà è rimessa in capo al cedente il quale può scegliere se adottare la procedura diretta, facendo pagare il prezzo del bene al netto dell’Iva, ovvero la procedura del rimborso, attendendo la prova dell’avvenuta uscita dei beni prima di restituire l’imposta. Di contro, il venditore è obbligato a emettere, per la vendita effettuata, la fattura allorquando sia richiesta dall’acquirente in luogo dell’emissione dello scontrino.
Infine, è appena il caso di precisare che già dal 1° settembre 2018 le fatture relative alle operazioni in questione devono essere emesse in modalità elettronica tramite il sistema OTELLO 2.0, che ha digitalizzato il processo per ottenere il “visto doganale” da apporre sulla fattura. Con l’avvento di OTELLO 2.0, infatti, la dimostrazione dell’avvenuta uscita dei beni dal territorio doganale della UE non avviene più mediante il “visto uscire” apposto dalla dogana sulla fattura, bensì attraverso il “visto digitale”.