Termine per trasmettere informazioni aggiuntive non rispettato: rimborso Iva ammesso
di Marco PeiroloLa Corte di giustizia UE, con sentenza del 2 maggio 2019, relativa alla causa C-133/18 (Sea Chefs Cruise Services), ha esaminato un aspetto specifico della gestione delle istanze di rimborso da parte dello Stato membro al cui interno sono stati effettuati gli acquisti di beni/servizi per i quali viene chiesta la restituzione dell’imposta da parte dell’acquirente di altro Stato membro.
Il tema affrontato è se il termine mensile, previsto dall’articolo 20, par. 2, Direttiva n. 2008/9/CE, abbia natura decadenziale, nel qual caso la sua inosservanza da parte dell’istante comporta l’automatico diniego del rimborso.
Tale termine è riferito al limite temporale entro il quale devono essere trasmesse allo Stato membro di rimborso le informazioni ritenute indispensabili per decidere in merito alla restituzione dell’imposta.
In sostanza, se al suddetto termine è attribuita natura non perentoria, ma meramente ordinatoria, il soggetto al quale viene negato il rimborso per non avere ottemperato alla richiesta di informazioni entro tale termine può regolarizzare l’istanza di rimborso fornendo gli elementi di prova nell’ambito del ricorso di cui all’articolo 23 Direttiva 2009/9/CE. Nel caso, invece, in cui il termine abbia natura decadenziale, il diniego del rimborso è definitivo.
La Corte ha privilegiato la natura non decadenziale e la conclusione raggiunta si riflette sulla disciplina italiana dei rimborsi Iva, dato che l’articolo 38-bis2, commi 6 e 7, D.P.R. 633/1972 prevede che il Centro operativo di Pescara, in sede di gestione delle istanze di rimborso presentate dai soggetti stabiliti in altri Stati membri, possa chiedere informazioni aggiuntive che devono essere fornite entro un mese dalla richiesta, così come previsto dall’articolo 20, par. 2, Direttiva 2006/112/CE.
I giudici dell’Unione hanno rilevato, da un lato, che l’articolo 15, par. 1, Direttiva 2008/9 indica una serie di obblighi che il soggetto passivo deve assolvere al fine di poter beneficiare del rimborso stesso, vale a dire l’obbligo di presentazione, nel proprio Stato di stabilimento, della richiesta di rimborso “al più tardi” entro il termine previsto dalla disposizione medesima, nonché l’obbligo di fornire specifiche informazioni. Dall’altro, l’articolo 20 della stessa Direttiva offre allo Stato membro di rimborso, laddove non ritenga di disporre di tutte le informazioni che gli consentano di decidere in merito alla richiesta di rimborso, di chiedere informazioni aggiuntive, in particolare al richiedente o alle Autorità competenti dello Stato membro di stabilimento, le quali devono essere fornite entro il termine di un mese a decorrere dalla data di ricezione della richiesta di informazioni da parte del destinatario.
Il tenore letterale di tale disposizione non consente di risolvere la questione se il termine ivi previsto abbia o meno natura decadenziale, ma – a favore del carattere non decadenziale – depone il contesto in cui la disposizione stessa si colloca nell’ambito della Direttiva 2008/9/CE.
Rinviando, per approfondimenti, alle considerazioni svolte dalla Corte, si ricorda che la giurisprudenza unionale è recentemente intervenuta in materia di rimborsi Iva a soggetti non residenti anche con la sentenza di cui alla causa C-562/17 del 14 febbraio 2019 (Nestrade).
Si è trattato, in tale occasione, di definire quali siano gli effetti del provvedimento di diniego del rimborso dell’Iva chiesto da un soggetto non stabilito nella UE per gli acquisti di beni/servizi effettuati all’interno della UE.
Fermo restando che gli effetti della pronuncia in esame sono applicabili anche ai rimborsi chiesti da soggetti stabiliti in uno Stato membro diverso da quello in cui sono stati posti in essere gli acquisti, il problema che si è posto è quello di stabilire se le disposizioni della XIII Direttiva CEE ostino agli Stati membri di limitare nel tempo la possibilità, per l’operatore che chiede il rimborso, di rettificare le fatture d’acquisto errate.
Nella specie, l’istante, società svizzera con posizione Iva in Spagna, ha chiesto il rimborso dell’Iva assolta sugli acquisti effettuati in Spagna, ma le Autorità fiscali locali hanno escluso la restituzione dell’imposta, in quanto le fatture d’acquisto risultavano intestate non già alla società svizzera, ma alla sua posizione Iva spagnola.
Siccome tali fatture non sono state corrette entro il termine indicato dalle Autorità fiscali, queste ultime hanno emanato il provvedimento di diniego del rimborso che, a sua volta, non è stato contestato dalla società entro il termine appositamente stabilito, diventando pertanto definitivo.
Nella situazione descritta, osserva la Corte, non è possibile sostenere che, nei confronti della società, sia stato reso impossibile o eccessivamente difficile esercitare il diritto di rimborso, a meno che le Autorità fiscali disponessero già dei dati necessari per verificare la spettanza del rimborso sulla base delle informazioni che la società aveva fornito allo Stato di rimborso nell’ambito di altre domande di restituzione dell’imposta.
Solo in questa ipotesi il diniego del rimborso sarebbe illegittimo, tenuto conto che – come già affermato dalla Corte nella sentenza Elsacom (causa C-294/11 del 21 giugno 2012) – “la possibilità di proporre una domanda di rimborso delle eccedenze dell’Iva senza alcuna limitazione temporale si porrebbe in contrasto col principio della certezza del diritto, che esige che la situazione fiscale del soggetto passivo, con riferimento ai diritti e agli obblighi dello stesso nei confronti dell’amministrazione tributaria, non possa essere indefinitamente rimessa in discussione”.