Test di vitalità per il riporto delle perdite nella scissione parziale
di Fabio LanduzziNella circolare n. 22/2023, Assonime ha trattato la scissione societaria parziale, ponendo l’attenzione – tra l’altro – su alcune recenti posizioni interpretative assunte dall’Agenzia delle entrate, le quali hanno destato preoccupazione fra gli addetti ai lavori, in quanto espressive di un radicale cambiamento di indirizzo rispetto al passato e per lo scarso supporto normativo che esse sembrano in concreto trovare. Fra i temi maggiormente critici, spicca quello dell’applicazione del test di vitalità nel caso di scissione parziale, tema che ha formato oggetto di analisi nella circolare n. 31/E/2022.
Partiamo dal circostanziare la questione che verte, come premesso, sul riporto delle perdite fiscali, delle eccedenze di interessi passivi non dedotti e delle eccedenze Ace presenti presso la società scissa nel caso di scissione parziale; ebbene, sino alla pubblicazione della citata circolare n. 31/E/2022, aderendo peraltro alle indicazioni provenienti dalla stessa Agenzia delle entrate (circolare n. 9/E/2010), la società scissa ha applicato il test di vitalità economica avendo riguardo ai ricavi e ai costi risultanti dal conto economico della stessa società scissa, considerata nella sua interezza; ciò, indifferentemente dal fatto che l’oggetto della scissione fosse un compendio aziendale oppure asset non costituenti un’azienda.
Ora, la circolare n. 31/E/2022 modifica completamente questo orientamento quando la società beneficiaria non è di nuova costituzione (nel qual caso, resta invece confermata la linea interpretativa suddetta); ebbene, quando la scissione è eseguita in favore di una o più beneficiarie non di nuova costituzione, il test di vitalità economica deve essere eseguito prendendo come riferimento l’oggetto trasferito con la scissione, e perciò:
- se si tratta di un’azienda (o di un ramo di azienda), i ricavi e i costi afferenti a tale azienda;
- se si tratta di singoli asset (non costituenti un compendio aziendale), individuando “criteri alternativi” che siano comunque in grado di misurare la vitalità economica del bene trasferito con scissione, rappresentata a propria volta dalla sua capacità di assorbire le perdite fiscali e/o le altre eccedenze trasferite alla beneficiaria.
Come premesso, questa nuova posizione interpretativa pubblicata dall’Agenzia delle entrate nella circolare n. 31/E/2022 desta molte perplessità, come correttamente osservato da Assonime.
Prima di tutto, manca un vero e proprio supporto normativo rispetto al testo del comma 10, dell’articolo 173, Tuir, il quale lascia chiaramente intendere che i dati sulla cui base si elabora il test di vitalità sono quelli tratti dal bilancio della società scissa, mentre non viene compiuto alcun riferimento a dati contabili connessi all’oggetto trasferito con la scissione. Lo stesso dicasi rispetto alla ratio della norma, che è espressamente di portata antielusiva in quanto diretta a contrastare il commercio di “bare fiscali”; perciò, se la scissa non è una “bara fiscale”, poiché supera il test di vitalità, non si comprende la ragione per cui potrebbe divenire tale una sua partizione (un ramo di azienda) o uno o più suoi beni.
Questa interpretazione confligge poi con l’indistinta riferibilità delle perdite fiscali, come pure ed a maggior ragione delle eccedenze di interessi non dedotti e delle eccedenze Ace, alla società nel suo complesso, e l’artificiosità di una loro allocazione in capo ad una sola porzione della società stessa. E’ veramente difficile pensare che perdite fiscali, interessi passivi o Ace, possano trovare una connessione diretta con l’oggetto trasferito per mezzo della scissione.
Tutt’altro che trascurabile, poi, anche la questione più propriamente operativa attinente alla elaborazione del test di vitalità seguendo queste nuove indicazioni. Infatti, se si tratta di un compendio aziendale, non è affatto detto che la società sia in possesso di un sistema contabile in grado di estrapolare i dati economici di ricavi e di costi rilevanti ai fini del test di vitalità afferenti al solo ramo di azienda scisso; a maggior ragione se si tratta della scissione di un asset, va da sé che la sua vitalità economica investe inevitabilmente una spiccata natura valutativa e prospettica, con tutte le incertezze del caso, soprattutto laddove le attese realizzative dei cespiti non fossero poi raggiunte.
Infine, molto preoccupante anche quanto si legge nella citata circolare n. 31/E/2022 in relazione al campo di applicazione che l’Agenzia delle entrate intende dare a questo nuovo corso interpretativo; viene, infatti, specificato che questa nuova interpretazione si applica anche alle operazioni perfezionate nel passato, e perciò prima della sua pubblicazione, tanto che viene precisato che saranno gli Uffici periferici a dover valutare attentamente “la sussistenza delle condizioni per escludere l’applicazione delle sanzioni nei confronti dei contribuenti che si siano conformati ai chiarimenti contenuti nella citata circolare 9/E”.
Questo approccio, oltre che destare come detto molte perplessità circa il suo fondamento, ha l’effetto negativo di investire anche operazioni effettuate nel passato in pieno affidamento con le linee di indirizzo di cui alla circolare n. 9/E/2010, con la conseguenza che si alimentano incertezze, rischi di contenzioso per comportamenti tenuti nel passato, nonché delicate decisioni da assumere per il futuro, circa l’utilizzo in compensazione delle perdite e/o delle eccedenze trasferite con la scissione parziale.
Dal punto di vista tecnico, non può quindi che concludersi per una lettura piuttosto critica di questa inversione interpretativa che si vuole abbia effetti addirittura retroattivi, e perciò tale da minare un clima di certezza e di stabilità interpretativa, di cui i contribuenti e gli investitori avrebbero invece necessità nell’approcciare operazioni straordinarie come, nel caso di specie, la scissione parziale.