3 Agosto 2018

Come ti tasso le sponsorizzazioni

di Massimiliano Tasini
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C’era una volta la risoluzione del Ministero delle Finanze n. 9/204 del 17.06.1992, nella quale, se abbiamo ben inteso, si affermava che le spese di sponsorizzazione sono riconducibili nell’ambito di quelle di pubblicità, in quanto caratterizzate dall’esistenza di un rapporto sinallagmatico in base al quale un soggetto si obbliga ad una prestazione in denaro o in natura e l’altro si obbliga a pubblicizzare e propagandare il prodotto, i servizi, il marchio e l’attività svolta.

Ora non c’è più, forse perchè il pensiero evolve, o forse perchè nel mondo delle sponsorizzazioni ci sono stati, ed è bene non negarlo, tanti e tanti pasticci, che hanno “plasmato” l’interpretazione, assorbendo anche la parte “buona” di questi rapporti.

Che dunque nella peggiore delle ipotesi danno luogo a costi in tutto o in parte indeducibili.

Vediamo allora una breve carrellata degli ultimi orientamenti in materia.

Nella sentenza “Johnson e Johnson” (sentenza Cassazione n. 14586 del 06.06.2018) si afferma che costituiscono spese di rappresentanza quelle affrontate per iniziative volte ad accrescere il prestigio o l’immagine dell’impresa ed a potenziarne le possibilità di sviluppo (questo secondo punto è certamente molto più opinabile del primo), mentre sono qualificabili come di pubblicità o di propaganda quelle sostenute per iniziative tendenti, si badi “prevalentemente anche se non esclusivamente”, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi, servizi, e comunque dell’attività svolta (quest’ultimo punto è parimenti assai opinabile).

Da tale premessa, ed in linea con la precedente pronuncia Cassazione, n. 27482/2014, la Corte deduce che le spese di sponsorizzazione costituiscono spese di rappresentanza (che è dunque la regola), in quanto tali deducibili nei limiti di legge, salvochè il contribute non provi che all’attività sponsorizzata sia riconducibile una diretta aspettativa di un ritorno commerciale (che non significa un ritorno, bensì una aspettativa di ritorno).

Una precedente pronuncia (Cassazione, n. 28687/2017) aveva statuito in senso analogo, precisando però che il criterio discretivo tra l’una e l’altra tipologia sta nella “diversità, anche strategica, degli obiettivi, ribadendosi … la necessità di una rigorosa verifica in fatto della effettiva finalità delle spese in considerazione degli obiettivi perseguiti”, con espresso richiamo alle sentenze Cassazione n. 16596/2015 e n. 3087/2016.

Nella stessa sentenza si richiama peraltro il principio affermato da Cassazione, n. 10914/2015, secondo cui la sponsorizzazione può essere stipulata anche a favore di un terzo senza che ciò possa snaturarne il trattamento tributario, purchè il contribuente possa dimostrarne l’inerenzaconsistente non solo nella dimostrazione della congruità dei costi rispetto ai ricavi o all’oggetto sociale, ma soprattutto nell’allegazione delle potenziali utilità per la propria attività commerciale o dei futuri vantaggi conseguibili attraverso la pubblicità svolta dall’impresa in favore del terzo”.

Compito del giudice di merito è così quello di esaminare i fatti controversi tra le parti in ordine agli elementi fondanti il criterio discretivo di cui sopra, avendo cura di soffermarsi in particolare sulle “positive ricadute che la sponsorizzazione avrebbe potuto avere sull’attività svolta dalla parte contribuente”.

Vale infine la pena di richiamare quella copiosa giurisprudenza di legittimità secondo la quale la presunzione di cui all’articolo 90, comma 8, L. 289/2002, che qualifica come spese di pubblicità volte alla promozione dell’immagine o del prodotto del soggetto erogante il corrispettivo in danaro a favore di società sportive dilettantistiche, introduce una presunzione legale assoluta, ma precisa anche che è necessaria “la prova che il beneficiario della sponsorizzazione sia una società o associazione sportiva dilettantistica che “sia iscritta nel relativo registro Coni” (Cfr.: Cassazione n. 26630/2017; n. 1420/2018; n. 13508/2018).

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