21 Febbraio 2014

Tra merletti e carampane

di Chicco Rossi
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Tempo di Carnevale, frittelle, chiacchere, galani.

Carnevale vuol dire feste e soprattutto la Venezia dell’Hayez, del Canaletto, con il suo incanto fatto di calli, piazzette sconosciute. Il tutto circondato dai canali. Insomma, al di fuori della quotidianità turistica che porta “obbligatoriamente” in piazza San Marco, a ponte Rialto e quant’altro, Venezia può concedere spazi insoliti dove riscoprire il fascino di una città senza tempo.

Ma Venezia vuol dire anche vetro, la cui patria è Murano, famosa per il “Murrino”, sinonimo di vasi e ciotole in vetro mosaico che i Romani facevano usando sezioni di canna che presentavano al loro interno, per tutta la lunghezza, disegni astratti o anche figurativi come volti, fiori e animali. Chi non conosce Venini o gli splendidi goti veneziani?

Ma noi che siamo in cerca di un posto dove poter leggere un bel libro, magari una delle tante commedie di quel Carlo Goldoni, veneziano di nascita, considerato a ragion veduta il padre della commedia moderna, tra un cicheto e un sorso di vino, andiamo a Burano splendida isola, conosciuta per i suoi merletti.

Si arriva con il vaporetto e subito si pensa che forse è più “Buran’è mille colori..” che “Napul’è… “, ma a parte gli scherzi e senza voler scomodare Pino Daniele e la sua città (non fremete per quando andremo da sua maestà Marinella?), la verità è che Burano è un’esplosione gioiosa di colori ed emozioni. Una piccola isola, di poco meno di 3.000 anime, collegata all’isola di Mazzorbo da un ponte.

La leggenda vuole che l’origine di Burano si debba alle invasioni barbariche. Infatti, gli abitanti di Altino si rifugiarono nelle isole della laguna, dando a queste i nomi delle sei porte di Altino: Murano, Mazzorbo, Burano, Torcello, Ammiana e Costanziaco, derivati appunto dai nomi delle porte di Altino. In particolare, Burano deriva dalla “Porta Boreana” chiamata così perché posta a Nord-Est, direzione da cui soffia la bora.

Se si vuole provare un’emozione forte si può cercare di prenotare una stanza al Raspo de Ua di modo che si possa vivere l’isola nella sua naturalezza e fascino.

Girare per le calli e casomai andare a visitare la chiesa di San Martino il cui campanile ci ha salutato al nostro arrivo e, con l’occasione, ammirare la “Crocifissione“, opera giovanile del Tiepolo, il cui nome è conosciuto in tutto il mondo.

Se al contrario si punta al jet set, tutti alla Locanda Cipriani a Torcello, sognando di dormire dove si è coricato E.H. dopo aver bevuto, casomai, il suo amato Valpolicella di Di là dal fiume e tra gli alberi, o un Amarone del forse più letto Addio alle armi.

Ma dopo aver deposto le valigie, si parte destinazione Venezia e i suoi bacari, per fare un semplice aperitivo a base di cicheti, il cui nome deriva dal latino ciccus che vuol dire piccolissima quantità accompagnati da un buon bicchiere di vino.

Attenzione a non farsi prendere la mano perché altrimenti, a forza di un’acciughina e un bianco, una polpettina e un rosso e poi ancora un ovetto sodo e un altro bianco, si finisce per non reggersi sulle proprie gambe e invece noi dobbiamo andare alle “Antiche Carampane” trattoria no turist.

Ma andiamo con ordine e, visto che siamo sotto Carnevale, facciamoci quattro risate.

Ma cosa vuol dire Carampane? Le Carampane, in veneziano, sta a significare le prostitute che lavoravano proprio nella zona delle Carampane che da Ca’ Rampani si estende fino al ponte delle Tette.

Cosa? Ma Chicco Rossi è impazzito? No no, il ponte si chiama proprio così e deve il suo nome all’usanza delle gentil donne di affacciarsi alle finestre in direzione del ponte sottostante, mostrando i seni scoperti per allettare i passanti. A dire il vero, non me ne vogliano i veneziani, quella non era un’usanza ma un ordine delle autorità veneziane che in tal modo speravano di distogliere i cittadini dalla sodomia che dilagava nella città.

Ci sediamo in quest’ambiente che sa di familiarità e dopo un delizioso antipasto di pesce puntiamo dritti sulla Cassopipa (spaghetti con ragù di molluschi speziato) di derivazione chioggiotta. Il nome si abbina perfettamente alla zona o no? A parte gli scherzi, il nome è dovuto al fatto che una volta veniva fatto su una pentola di terracotta chiamata (casso) da cassariola che veniva lasciata “pipar” su un angolo della cucina economica.

Secondo un interessante e sfizioso branzino in crosta di peperoni.

Per il dolce aspettiamo domani a Burano.

Vino? A sorpresa Saurint, sauvignon prodotto da Miani. Dal colore invitante oro verde, con sentori di pesca bianca e lievi di anice. Pieno al gusto e di una persistenza sorprendente per lunghezza.

Tornati a Burano, non resta che svegliarsi presto per assaporare gli ultimi momenti di tranquillità dell’isola prima dell’invasione barbarica e, casomai, cogliere l’occasione di anticipare tutti per far visita al museo dei merletti, perché Burano è famosa per i suoi merletti la cui origine si narra si deve a un pescatore promesso sposo che durante un’uscita in mare, venne tentato dal canto delle sirene. La resistenza del pescatore fu ricompensata dalla regina che con un colpo di coda colpì il fianco della nave e dalla schiuma, creatasi dal movimento dell’acqua, formò il velo nuziale per la giovane sposa. Il giorno delle nozze, quello fu il regalo per la fidanzata che fu invidiata da tutte le giovani dell’isola che così iniziarono a produrre i merletti per i loro veli.

Il tutto sgranocchiando il bussolà o le caorline acquistati nella pasticceria Palmisano che ti fan veramente canticchiare Io che non vivo più di un’ora senza te, come posso stare una vita senza te