Transfer pricing: l’Amministrazione non deve provare il vantaggio fiscale
di Euroconference Centro Studi TributariLa disciplina in materia di transfer pricing non è riconducibile tra le disposizioni antielusive del nostro Ordinamento e non richiede quindi che l’Amministrazione provi la maggiore fiscalità nazionale. Le previsioni dell’articolo 110, comma 7, Tuir sono pertanto applicabili anche in difetto della prova di un concreto vantaggio fiscale da parte del contribuente.
Sono questi i principi richiamati dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 13571, depositata ieri, 19 maggio.
Il caso riguarda una società alla quale era stato notificato un avviso di accertamento con il quale venivano recuperati a tassazione gli interessi passivi su un finanziamento concesso dalla controllante estera al tasso del 10%, nonché i 2/3 dei costi assicurativi (in quanto sostenuti, in parte a favore di altre due società dello stesso gruppo).
Con riferimento alla misura del tasso di interesse, la società lamentava l’applicazione, nell’ambito dell’impugnato avviso di accertamento, dei tassi BCE ed Euribor a sei mesi; riteneva, infatti, che il valore normale dovesse essere determinato facendo riferimento ai prezzi mediamente praticati in condizione di libera concorrenza.
La Corte di Cassazione, tuttavia, investita della questione, ha ritenuta congrua la scelta operata dall’Amministrazione finanziaria, individuando un tasso medio che sarebbe stato proposto a qualunque impresa che, in regime di libero mercato, si fosse rivolta a degli istituti di credito per essere finanziata.
Sul punto viene tra l’altro precisato, che, secondo un orientamento ormai consolidato della giurisprudenza, in materia di transfer pricing, l’onere probatorio gravante sull’Amministrazione finanziaria si esaurisce nel fornire prova dell’esistenza dell’operazione infragruppo e la pattuizione di un corrispettivo inferiore al valore normale di mercato; spetta dunque al contribuente fornire prova che il corrispettivo convenuto corrisponde ai valori economici che il mercato attribuisce a tali operazioni (si richiama, sul punto, Cassazione, n. 30149/2017).
La società contestava inoltre la mancata dimostrazione, da parte degli Uffici, dell’intento elusivo.
La Corte di Cassazione è quindi tornata a ribadire che la disciplina del transfer pricing non si colloca tra le norme antielusive in senso proprio, proprio perché, a differenza delle altre disposizioni antielusive, non prevede che l’Amministrazione finanziaria debba provare la maggiore fiscalità nazionale ed è quindi applicabile anche in mancanza della prova di un effettivo vantaggio fiscale da parte del contribuente.
In merito, invece, al secondo profilo (relativo alla deducibilità dei costi assicurativi) la Corte di Cassazione ha richiamato il principio di diritto ricostruito da Cassazione, n. 18904/2018, secondo il quale “il principio di inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d’impresa ed esprime una correlazione tra costi ed attività d’impresa in concreto esercitata, traducendosi in un giudizio di carattere qualitativo, che prescinde, in sé, da valutazioni di tipo utilitaristico o quantitativo”.
L’inerenza deve essere dunque riferita all’oggetto sociale dell’impresa: nel caso in esame, però, nulla prevedeva l’oggetto sociale.