Trasformazione regressiva della holding tra opportunità e criticità
di Ennio VialLa trasformazione di una holding da società di capitali a società in nome collettivo o società in accomandita semplice offre diverse opportunità, sia a livello di risparmio di costi che a livello di tutela del patrimonio.
Sui costi è appena il caso di ricordare l’assenza del collegio sindacale e la non necessaria predisposizione del bilancio civilistico.
A livello di tutela si segnala la questione della generale impignorabilità delle quote di una società di persone.
Tra gli effetti collaterali un po’ spiacevoli, tuttavia, si segnala, non ultimo in ordine di importanza, il regime fiscale della trasparenza.
I dividendi da questa percepiti verranno imputati nel quadro H dei soci per il 58,14% del loro ammontare o nella minore misura per quelli maturati in esercizi pregressi. Tale circostanza, se paragonata alla pex del 95% delle società i capitali, la rende un veicolo inefficiente per la concentrazione della liquidità all’apice del gruppo al fine di una ridistribuzione alle società interessate.
Un ulteriore aspetto da valutare attiene al profilo della responsabilità dei soci della holding. Al riguardo, l’articolo 2500 sexies cod. civ. prevede che, i soci che con la trasformazione assumono responsabilità illimitata, rispondono illimitatamente anche per le obbligazioni sociali sorte anteriormente alla trasformazione.
L’inefficienza più rilevante, tuttavia, è quella che si manifesta a livello fiscale. Il problema non si pone tanto per le perdite fiscali maturate in costanza di società di capitali, per le quali opera la prioritaria compensazione con i redditi imponibili prima della imputazione ai soci, giusta la precisazione della risoluzione 60/E/2005, quanto per l’eccedenza degli oneri finanziari rispetto al Rol che, secondo i chiarimenti della circolare 29/E/2011, viene persa.
Un ulteriore problema attiene alla tassazione degli utili maturati durante la vita della società di capitali e distribuiti dalla società di persone.
Per evitare la tassazione degli stessi, in occasione della trasformazione, è necessario che questi vengano iscritti in una riserva con indicazione della loro origine.
Il problema è che in occasione della loro futura distribuzione, la società di persone avrà difficoltà ad operare la ritenuta alla fonte del 26%, atteso che l’articolo 27 D.P.R. 600/1973 la ammette solo per i dividendi distribuiti dalle società di capitali.
Di fatto, la trasformazione regressiva non permette di adottare la contabilità semplificata, pena una tassazione di tutte le riserve in bilancio, non solo quelle in sospensione di imposta. In relazione a queste ultime, è interessante ricordare anche la risposta all’istanza interpello n. 505 del 10.12.2019, la quale, richiamando la risposta 332/2019, ribadisce che la riserva in sospensione d’imposta – che, virtualmente, confluisce tra le riserve di utili propriamente dette nel periodo d’imposta in cui si verifica la relativa distribuzione – deve considerarsi formata, ai fini fiscali, con utili prodotti nel medesimo periodo d’imposta.
In sostanza, la riserva è formata con utili non relativi all’esercizio in cui la stessa è stata creata, ma con utili del momento in cui viene distribuita.
Sulla base di queste premesse, la risposta n. 505/2019, affrontando il caso di una riserva distribuita da una società di persone a seguito di una trasformazione regressiva, prevede che la distribuzione del saldo attivo non affrancato concorre a formare il reddito della società in tale periodo d’imposta, secondo le regole previste per le società di persone e non ai sensi dell’articolo 170, comma 5 Tuir, (tassazione come società d capitali) il quale presuppone, viceversa, che la riserva sia già confluita ai fini fiscali prima della trasformazione societaria regressiva tra le riserve di utili propriamente dette.
Interessante, infine, potrebbe anche essere un approfondimento in merito alla trasformazione di una holding in una impresa individuale o in un trust.
In questi casi si deve far riferimento ai principi contenuti rispettivamente nello Studio del consiglio nazionale del Notariato n. 545-14/I del 9 settembre 2014 e nello Studio n. 17-2013/I del 16 gennaio 2013.
In questi casi la trasformazione pare ammissibile solo in ipotesi di holding che svolge anche una attività operativa, in quanto l’operazione di trasformazione di società in ditta individuale o in trust poggia la sua fattibilità sul fatto che, ai sensi dell’articolo 2500-septies cod. civ., è ammessa la trasformazione di società di capitali in comunione di azienda.
L’impresa individuale sarebbe una comunione di azienda con un unico proprietario comunista mentre, nel caso del trust, la comunione è rappresentata dal vincolo del trust e dal fatto che gli ex soci hanno la posizione di beneficiari del trust stesso.